Nuove regole per il lavoro degli sportivi professionisti e dilettanti

La nuova normativa

Il primo gennaio 2023, entreranno in vigore le nuove disposizioni contenute nel DLGS n.163/2022 che apportano una globale riforma alla normativa sportiva italiana modificando il recente DLGS 36/2021 nel senso di semplificarne la normativa e di prendere in esame l’aspetto concernente il lavoro sportivo dilettantistico.

Il campo di applicazione

In tal senso, l’articolo 25 del DLGS n.36/2021 (campo di applicazione della legge) viene notevolmente ampliato nel suo contenuto.

La nuova versione siccome modificata dal DLGS 163/2022 estende tale nozione oltre agli atleti ed agli allenatori che svolgono attività sportiva dietro un corrispettivo, ad ogni tesserato che svolge attività correlate a quelle sportive con eccezione dell’attività amministrativa.

E’ ribadito il principio di dignità dei lavoratori sportivi e la specificità dell’attività sportiva.

E’ ammessa inoltre la prestazione di attività sportiva mediante rapporto di lavoro subordinato o anche nella forma della collaborazione coordinata e continuativa.

Lavoro nell’ambito della PA e lavoro sportivo

E’ prevista inoltre la compatibilità tra l’attività di lavoro sportivo ed il lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione svolto fuori dall’orario di lavoro, previa comunicazione all’amministrazione di appartenenza.

La parziale applicazione delle regole del lavoro subordinato

Il successivo articolo 26 Disciplina del rapporto di lavoro sportivo assoggetta il rapporto di lavoro sportivo alle regole del lavoro subordinato con esclusione di un notevole numero di norme come articoli 45, e 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, negli articoli 1235678 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nell’articolo 1, commi da 47 a 69, della legge 28 giugno 2012, n. 92, negli articoli 24 e 5 della legge 11 maggio 1990, n. 108, nell’articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e nel decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 nell’articolo 2103 del codice civile.

E’ ammessa l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro che non può essere superiore ai cinque anni.

In campo disciplinare

E’ esclusa l’applicazione dell’articolo 7 della legge 300/70 (obbligo di contestazione) per le sanzioni disciplinari e quindi è ammessa l’apposizione al contratto di lavoro di una clausola compromissoria per le controversie concernenti l’esecuzione del contratto.

No a clausole di non concorrenza successive alla risoluzione del rapporto

La legge inoltre esclude l’apposizione di vincoli e clausole di non concorrenza a valere dopo la risoluzione del contratto.

Settore professionistico e natura presunta del rapporto

Il successivo articolo 27 regola il rapporto di lavoro sportivo nel settore professionistico, stabilendo che in tal caso, il rapporto si presume essere di natura subordinata qualora prestato in maniera prevalente e continuativa.

Sono previste al di fuori delle caratteristiche di continuità e prevalenza, ipotesi di lavoro sportivo di natura autonoma.

Settore dilettantistico e presunta natura autonoma del rapporto

Diversamente l’articolo 28 della medesima disposizione di legge presume la natura di lavoro autonomo coordinato e continuativo per il lavoro sportivo dei dilettanti.

Attività sportiva e volontariato

L’articolo 29 prevede inoltre le prestazioni sportive dei volontari che possono essere rappresentate da vere e proprie attività sportive o da attività di supporto allo sport medesimo.

In tal caso le attività sono considerate gratuite con il solo diritto al rimborso delle spese.

Formazione e apprendistato

L’articolo 30 si occupa invece della formazione dei giovani atleti, rendendo possibile con i medesimi la stipula di ogni forma di apprendistato prevista dalla legge.

Stabilisce l’articolo 30 che le società o associazioni sportive dilettantistiche e le società professionistiche possono stipulare contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, per il diploma di istruzione secondaria superiore e per il certificato di specializzazione tecnica superiore, di cui all’articolo 43 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e contratti di apprendistato di alta formazione e di ricerca, di cui all’articolo 45 del medesimo decreto legislativo. La formazione degli atleti può essere conseguita anche con le classi di laurea L-22 (Scienze Motorie e di laurea magistrale), LM-47 (Organizzazione e gestione dei servizi per lo sport e le attività motorie), la LM-67 (Scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattative), nonché la LM-68 (Scienze e tecniche dello sport).

L’abolizione del vincolo sportivo

Innovativo è l’articolo 31 che stabilisce l’abolizione del vincolo sportivo e il premio di formazione tecnica.

Le limitazioni alla libertà contrattuale individuate come vincolo sportivo verranno a cadere entro il 31 luglio 2023, con possibilità di una disciplina transitoria atta alla diminuzione progressiva della durata massima del vincolo, con la precisazione che alla data del 31 luglio 2023, ogni vincolo si intenderà abolito.

E’ previsto inoltre che le federazioni sportive debbano prevedere con proprio regolamento l’istituzione di un premio di formazione tecnica in favore degli sportivi che tenga conto della durata e del contenuto formativo del rapporto.

Altri articoli in successione prevedono regole concernenti la sicurezza ed il benessere fisico degli sportivi prevedendo visite mediche periodiche e norme antinfortunistiche.

Fabio Petracci

CASSAZIONE – Infortunio sul lavoro. Omissione di soccorso per mancato tempestivo intervento del datore di lavoro.

Commette omissione di soccorso il datore di lavoro che, verificatosi un infortunio di una certa gravità, non provvede tempestivamente al trasporto in ospedale dell’infortunato.

La Corte di Cassazione Sezione Penale conferma la pena inflitta ad un datore di lavoro che aveva omesso di prestare soccorso all’infortunato che aveva subito nell’ambito del cantiere un grave incidente.

Da quanto si desume dalla sentenza in esame, il datore di lavoro incriminato e condannato si era limitato a dare notizia dell’infortunio al committente.

In tal modo, l’infortunato rimaneva in attesa per oltre quaranta minuti prima di essere trasportato all’ospedale.

Secondo la Corte d’Appello che aveva emesso la condanna poi confermata dalla Corte di Cassazione,  le modalità dell’infortunio e l’evidente sofferenza dell’infortunato, avrebbero dovuto consigliare il datore di lavoro ad attivarsi per l’immediato soccorso, realizzandosi così la fattispecie penale di cui all’articolo 593, comma 2 del codice penale.

Fabio Petracci

Di seguito la sentenza della Corte di Cassazione.

 

Cassazione Sezione Penale sentenza n.47322 del 14.12.2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere –

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 23/03/2021 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO che ha concluso chiedendo.

udito il difensore.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Torino riformava parzialmente in favore dell’imputato, limitatamente alla dosimetria della pena, la sentenza con cui il tribunale di Cuneo, in data 7.1.2019, aveva condannato A.A. alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato ex art. 593, comma 2, c.p., in rubrica ascrittog li.

In particolare al A.A. viene addebitato, in concorso con B.B., di avere omesso di prestare la necessaria assistenza alla persona offesa C.C., dipendente della ditta individuale del B.B., con la qualifica di muratore, vittima di un grave incidente nel cantiere allestito presso la sede della ditta committente dei lavori, il “Caseificio A.A. Srl “, di cui il ricorrente era il legale rappresentante, e di dare immediato avviso alla competente autorità di quanto era accaduto.

Il C.C., infatti, mentre era intento con altri lavoratori a sostituire il manto di copertura di un fabbricato, posto a circa 2,9 metri di altezza, era caduto nel locale sottostante, attraverso una botola non adeguatamente protetta o segnalata, riportando le lesioni personali gravi indicate nel capo n. 3) dell’imputazione.

Secondo l’impianto accusatorio, fatto proprio dai giudici di merito, il A.A., invece di prestare immediato soccorso al lavoratore infortunato, aveva informato innanzitutto il B.B., assente dal cantiere nel momento del verificarsi del sinistro, attendendo per circa quaranta minuti l’arrivo di quest’ultimo, senza allertare le autorità sanitarie, limitandosi a caricare il C.C. sul furgone della ditta, con cui, poi l’infortunato, una volta giunto in loco il B.B., sarebbe stato accompagnato presso l’ospedale di (Omissis).

Ad avviso della corte territoriale, le modalità della caduta, tenuto conto dell’altezza di circa tre metri da cui la vittima era precipitata, e l’evidente sofferenza della persona offesa, che, quando il A.A. era intervenuto, si trovava ancora per terra, sia pure appoggiato a un muro, attorniato dagli altri operai, “erano palesemente tali da destare preoccupazione e giustificare da parte del A.A. la richiesta di immediato soccorso da parte delle Autorità Sanitarie o, al più, l’effettuazione di un immediato trasporto al vicino nosocomio, senza indugiare nell’attesa del datore di lavoro” (cfr. pp.11-13 della sentenza oggetto di ricorso).

  1. Avverso la sentenza della corte di appello, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando 1) vizio di motivazione, in quanto, premesso che il reato di cui all’art. 593, c.p., non si configura come un reato proprio, la corte territoriale ha omesso di indicare le ragioni, per cui, accertata la presenza di una serie di soggetti diversi dal A.A. nel momento del verificarsi dell’incidente di cui fu vittima la persona offesa, solo quest’ultimo sia stato ritenuto, in qualità di committente dei lavori, l’unico responsabile del dovere di prestare assistenza, la cui violazione integra il reato di cui all’art. 593, c.p.; 2) manifesta illogicità della motivazione, in quanto la corte territoriale ha desunto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui si discute, che si atteggia in termini di dolo, secondo un ragionamento deduttivo, incentrato sulla natura delle lesioni, emersa solo ex post, grazie all’accertamento operato dal consulente tecnico del pubblico ministero, tipico della ricostruzione dell’elemento soggettivo nei reati colposi, omettendo di considerare che risponde dell’omissione solo chi voglia non compiere un’azione che sa di dover compiere.
  2. Con requisitoria scritta del 29.7.2022, depositata sulla base della previsione del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137art. 23, comma 8, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

Con conclusioni scritte del 13.9.202, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia dell’imputato, avv. Giuseppe Sandri, insiste per l’accoglimento del ricorso.

  1. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

4.1. Con particolare riferimento al primo motivo di ricorso non può non rilevarsene la manifesta infondatezza, posto che la presenza di più persone, diverse dall’imputato, quando si verificò il sinistro di cui si discute e nei momenti immediatamente successivi a esso, non esonera da responsabilità il A.A..

Come è noto l’art. 593, c.p., che disciplina la fattispecie di omissione di soccorso, recita testualmente: “Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un’altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all’Autorità è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a duemilacinquecento Euro.

Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità. Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata”.

Orbene, il reato di cui all’art. 593, c.p., sia nell’ipotesi di cui al comma 1, che in quella di cui al comma 2 (contestata al A.A.), non si configura come reato proprio, non richiedendo la fattispecie incriminatrice tra i suoi elementi costitutivi una particolare qualità personale del soggetto attivo, che può essere chiunque, anche se, come è stato fatto notare, posto che per la sussistenza del reato è necessario che sussista un contatto materiale, attraverso gli organi sensoriali, tra l’agente e la persona oggetto del ritrovamento (cfr. Sez. 5, n. 20480 del 15/03/2002, Rv. 221916), sarebbe opportuno qualificare il reato come proprio, in ragione del rapporto materiale che deve necessariamente legare l’autore con il soggetto passivo.

Proprio la particolare natura del reato di cui si discute, comporta che, in presenza di una persona in stato di presunto o accertato pericolo, l’obbligo di assistenza diretta o indiretta imposto dalla norma, in cui si concretizza, come sottolineato da autorevole dottrina, l’adempimento sul terreno penalistico dei doveri inderogabili di solidarietà sociale di cui all’art. 2, Cost., incombe su tutti coloro che entrano in contatto con il soggetto bisognoso di assistenza, indipendentemente dalla qualità dei soggetti obbligati.

Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con orientamento risalente nel tempo, ma non formante oggetto di rivisitazione critica nel corso degli anni, in tema di omissione di soccorso, il termine “trovare” deve intendersi nel senso di “imbattersi”, “venire in presenza di”, e implica un contatto materiale diretto, attraverso gli organi sensoriali, con l’oggetto del ritrovamento. Non importa perciò la distanza fra l’agente e il soccorrendo, purchè essa sia tale che il primo possa percepire lo stato di pericolo in cui versa il secondo, cosi come pure è irrilevante la presenza in loco dell’agente prima che il pericolo sorga, non potendo escludersi l’obbligo del soccorso sol perchè il contatto sensoriale fra agente e soccorrendo si verifica non a causa di una condotta posta in essere dal primo ma a causa di una condotta dello stesso soccorrendo o di terzi (cfr. Sez. 5, n. 6339 del 31/01/1978, Rv. 139066).

Del pari da tempo la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come il reato di omissione di soccorso posto a carico di un soggetto, non può venir meno in caso di possibile intervento di terze persone (cfr. Sez. 6, n. 11148 del 04/03/1988, Rv. 179741).

In altri termini l’affermazione della responsabilità del A.A. trova la sua giustificazione nella violazione del dovere di assistenza previsto dall’art. 593, comma 2, c.p., che, pur in presenza di altre persone del pari astrattamente destinatarie del medesimo dovere, comunque incombeva su di lui, non in qualità di committente dei lavori o di datore di lavoro della persona offesa, ma di soggetto entrato in contatto diretto con la persona pericolante, vale a dire bisognosa di assistenza, dopo il verificarsi del sinistro, in ragione delle conseguenze riportate a causa della caduta da un’altezza di circa tre metri.

Tale dovere egli ha violato, quanto meno non avvisando immediatamente, cioè senza alcuna dilazione non indispensabile, le autorità sanitarie e di polizia (cfr. Sez. 5, n. 3397 del 14/12/2004, Rv. 231409) dell’incidente verificatosi presso la sede del suo caseificio, attendendo, piuttosto, l’arrivo del B.B., senza che ve ne fosse ragione ai fini del soccorso, per accompagnare il C.C. presso il nosocomio di (Omissis).

4.2. Manifestamente infondato e generico appare il secondo motivo di ricorso, con il quale, in definitiva, il ricorrente reitera acriticamente le doglianze rappresentate nell’atto di appello in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui di discute, che si atteggia in termini di dolo generico (integrato dalla consapevolezza della necessità del soccorso e dell’omissione: cfr. Sez. 5, n. 4003 del 14/12/1977, Rv. 138535, nonchè Sez. 5, n. 13310 del 14/02/2013, Rv. 254983), senza confrontarsi con la motivazione della sentenza della corte di appello.

Al riguardo si osserva come, secondo un condivisibile arresto della giurisprudenza di questa Corte, in tema di omissione di soccorso, lo stato di pericolo è elemento costitutivo delle diverse ipotesi di reato previste nel primo e comma 2 dell’art. 593, c.p., e in quest’ultima fattispecie – a differenza della prima nella quale il pericolo è “presunto” in presenza delle situazioni descritte – lo stato di pericolo deve essere accertato, in base agli elementi che caratterizzano il reato, con valutazione “ex ante” e non “ex post” (cfr. Sez. 4, n. 36608 del 19/09/2006, Rv. 235424).

Orbene la corte territoriale ha fatto buon governo di tale principio, evidenziando che proprio le modalità dell’incidente e la condizione di oggettiva sofferenza dell’infortunato immediatamente percepibili e percepite dall’imputato quando entrò in contatto diretto con il C.C., consentivano al ricorrente di avere piena consapevolezza dell’esistenza di una condizione di pericolo quanto meno per l’integrità fisica dell’infortunato, che richiedeva un soccorso immediato attraverso la subitanea allerta delle competenti autorità sanitarie, per cui l’omesso adempimento del dovere di soccorso correttamente è stato ritenuto frutto di una consapevole e volontaria scelta del A.A., sulle cui motivazioni, inoltre, la corte territoriale si sofferma specificamente (cfr. pp. 13-14).

In questa prospettiva gli esiti della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero sulla natura e gravità delle lesioni patite dalla persona offesa non integrano una valutazione “ex post” della situazione di pericolo, ma solo un ulteriore approfondimento degli esiti dell’incidente, foriero di un evidente pericolo per il C.C. già nel momento del suo verificarsi.

  1. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2022

Pubblica Amministrazione. I requisiti per gli incarichi esterni.

Il presente scritto riguarda la materia concernente l’affidamento di incarichi a liberi professionisti da parte di enti pubblici, al di fuori delle fattispecie dell’appalto e del lavoro dipendente.

Sarà quindi dato rilievo alla normativa fondamentale che disciplina il conferimento di incarichi da parte della pubblica amministrazione.

Esamineremo innanzitutto l’articolo 7 del DLGS 165/2001 (Testo Unico Pubblico Impiego) che pone le condizioni di legittimità perché una pubblica amministrazione possa instaurare con un soggetto un rapporto di lavoro autonomo.

Come potremo vedere l’articolo 7 è stato oggetto di numerosi interventi restrittivi per eliminare gli abusi ed i reali pericoli di alimentare il precariato.

Il concetto che in primo luogo se ne ricava anche a fissarne la differenziazione dal lavoro subordinato è che debba trattarsi effettivamente di una prestazione individuale i cui termini di prestazione non debbono essere organizzati dalla pubblica amministrazione.

Deve trattarsi inoltre di un estrema ed ultima risorsa per la pubblica amministrazione che normalmente dovrebbe prevedere la presenza delle risorse umane per ogni necessità.

Se almeno all’apparenza ricorrono questi elementi, sarà opportuno confrontarli con la normativa che segue, per un esame di ammissibilità.

  1. Il testo unico del pubblico impiego

L’articolo 7 del DLGS 165/2001 costituisce la base cui riferirsi allorquando deve trattarsi della disciplina del conferimento di incarichi professionali da parte delle pubbliche amministrazioni.

Normalmente l’attività della pubblica amministrazione è svolta per il tramite di lavoratori dipendenti sottoposti a peculiari forme di assunzione e di trattamento contemplate dal DLGS 165/2001 Testo Unico del Pubblico Impiego e contestualmente per gli enti locali dal DLGS 267/2000 Testo Unico dell’ordinamento degli enti locali.

Per incarichi professionali invece intendiamo delle prestazioni che si pongono al di fuori del lavoro dipendente in un contesto di autonomia che va dalle prestazioni coordinate continuative, al lavoro organizzato dal committente e quindi assimilato in quanto al trattamento giuridico al lavoro dipendente sino alle vere e proprie forme di lavoro autonomo e professionale, anche regolamentato dalle norme ordinistiche.

Nell’ultimo periodo, abbiamo assistito al varo di normative volte a diminuire la spesa pubblica e d’altro canto a ridurre in favore della tipologia della subordinazione le varie forme di lavoro para subordinato spesso al limite della legalità.

Da una parte, interveniva in funzione di razionalizzare la Pubblica Amministrazione e contenerne i costi, il decreto Madia DLGS 75/2017 e dall’altra a ridurre le diverse alternative al lavoro subordinato il  il Jobs Act Dlgs 81/2015.

Ne ha risentito anche la materia degli incarichi professionali, laddove l’articolo 7 imponeva restrizioni alla materia degli incarichi professionali esterni.

Quando i contratti di collaborazione con le pubbiche amministrazioni sono vietati.

Il Testo Unico del Pubblico Impiego, D. Lgs. n. 165/2001, all’art. 7, comma 5-bis, prevede il divieto – a far data dal 1 luglio 2019 – per le amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Pertanto, da tale data non sono più utilizzabili nelle pubbliche amministrazioni i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

I limitati casi di ammissibilità

Il successivo comma 6 dell’art. 7 prevede tuttavia che per specifiche esigenze cui non possano far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo (artt. 2222 e ss. del codice civile), ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

“a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;

  1. b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
  2. c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
  3. d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione; non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico, oggetto e compenso della collaborazione.”

E’ possibile prescindere dal requisito della comprovata specializzazione universitaria, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore, nel caso di conferimento di incarichi per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro.

Ancora, l’eventuale ricorso ai contratti di lavoro autonomo (c.d. incarichi) per lo svolgimento di funzioni ordinarie dell’Amministrazione e l’eventuale utilizzo dei soggetti incaricati con modalità tali da costituire lavoro subordinato sono cause di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti.

In sostanza, lo scopo dell’attribuzione degli incarichi è quello di reperire all’esterno dell’organizzazione dell’Amministrazione risorse che permettano di soddisfare esigenze dell’Ente connotate da carattere temporaneo e per le quali è necessaria un’elevata professionalità, senza dover ricorrere ad assunzioni di personale di ruolo.

L’opportunità di creare un apposito regolamento

Infine, il comma 6-bis dell’art. 7 D. Lgs. n. 165/2001 prevede che le amministrazioni pubbliche debbano disciplinare e rendere pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi.

Il divieto di instaurare CO.CO.CO come e da quando opera

Scatta così il divieto di instaurare nell’ambito del pubblico impiego le prestazioni coordinate e continuative.

Dopo alcune proroghe, dal 1 luglio 2019, gli enti pubblici non potranno più stipulare collaborazioni coordinate e continuative, l’ultima proroga era stata prevista dall’articolo 1, comma 131 della legge 145/2018.

In realtà, l’articolo 7 del DLGS 165/2001 al comma 5 bis fa divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare collaborazioni coordinate continuative o a progetto, ma qualsiasi forma di collaborazione non genuinamente autonoma e dove intervenga l’organizzazione della stessa da parte dell’ente anche in relazione al tempo ed al luogo di lavoro.

In sostanza l’ente pubblico può ricorrere a liberi professionisti, laddove le risorse interne non permettano di sopperire a talune esigenze istituzionali dell’ente medesimo.

Le sanzioni

Sanzioni sono previste per il mancato rispetto della norma.

In primo luogo, il contratto stipulato in violazione di legge dovrà considerarsi nullo e naturalmente il dipendente non potrà pretendere il riconoscimento della subordinazione e la stabilizzazione del rapporto. Di conseguenza esso verrà meno, il dipendente non sarà tenuto in forza dell’articolo 2126 del codice civile a restituire quanto percepito ed otterrà comunque se il periodo sarà riconosciuto come subordinato il pagamento dei contributi. Nel caso sia invece instaurato un rapporto di lavoro autonomo comunque in violazione dell’articolo 7 del DLGS 165/2001 ad esempio in quanto nell’ambito dell’ente sussistevano le professionalità necessarie, il professionista potrà agire per il risarcimento del danno ex articolo 2043 del codice civile. Le conseguenti spese andranno quindi a carico del dirigente che ha instaurato indebitamente il rapporto.

Altre sanzioni di natura aministrativa contabile e disciplinare attendono inoltre il dirigente che abbia operato in violazione dell’articolo 7 del DLGS 165/2001 .

I casi che legittimano l’instaurazione di contratti di lavoro autonomo – le ipotesi tassative

Ma quando allora le pubbliche amministrazioni possono ricorrere alle collaborazioni esterne, tenuto presente il divieto di instaurare collaborazioni continuative ed organizzate dall’ente datore di lavoro?

Le collaborazioni lecite debbono rispondere ai seguenti requisiti:

  • Il collaboratore esterno deve identificarsi in un esperto di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria e l’incarico deve essere in linea con la specializzazione del soggetto e corrispondere o servire all’oggetto delle competenze istituzionali dell’amministrazione;
  • L’amministrazione deve quindi aver preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare per lo scopo propri dipendenti;
  • La prestazione deve essere di natura temporanea;
  • Devono essere preventivamente determinati la durata l’oggetto ed i compensi.

Si fa presente che si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria per le prestazioni da effettuarsi da professionisti iscritti ad ordini o albi e per soggetti che operino nel campo dell’arte e dello spettacolo, per mestieri artigianali, per l’attività informatica  e per i servizi di orientamento e collocamento.

Ciò in concreto significa che ogni affidamento di incarico professionale nelle amministrazioni pubbliche andrà preceduto da uno delibera che evidenzi il sussistere di tutti i requisiti di liceità dell’affidamento.

Nella successiva lezione, evidenzieremo specificamente il ricorrere di tutte le condizioni di ammissibilità cui ora abbiamo fatto cenno.

  1. Il Codice degli Appalti

 Nel 2016 è entrato in vigore il D. Lgs. n. 50/2016, c.d. Codice degli Appalti o dei contratti pubblici, che disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione.

Quivi, l’art. 17 precisa a quali appalti e concessioni di servizi non si applicano le disposizioni del Codice agli appalti ed alle concessioni di servizi, ovvero quelli:

“a) aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni;

  1. b) aventi ad oggetto l’acquisto, lo sviluppo, la produzione o coproduzione di programmi destinati ai servizi di media audiovisivi o radiofonici che sono aggiudicati da fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici, ovvero gli appalti, anche nei settori speciali, e le concessioni concernenti il tempo di trasmissione o la fornitura di programmi aggiudicati ai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici. Ai fini della presente disposizione il termine «materiale associato ai programmi» ha lo stesso significato di «programma»;
  2. c) concernenti i servizi d’arbitrato e di conciliazione;
  3. d) concernenti uno qualsiasi dei seguenti servizi legali:

1) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni:

1.1) in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro dell’Unione europea, un paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale;

1.2) in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro dell’Unione europea o un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;

2) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui al punto 1), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni;

3) servizi di certificazione e autenticazione di documenti che devono essere prestati da notai;

4) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o altri servizi legali i cui fornitori sono designati da un organo giurisdizionale dello Stato o sono designati per legge per svolgere specifici compiti sotto la vigilanza di detti organi giurisdizionali;

5) altri servizi legali che sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri;

  1. e) concernenti servizi finanziari relativi all’emissione, all’acquisto, alla vendita e al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari ai sensi del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, servizi forniti da banche centrali e operazioni concluse con il Fondo europeo di stabilità finanziaria e il meccanismo europeo di stabilità;
  2. f) concernenti i prestiti, a prescindere dal fatto che siano correlati all’emissione, alla vendita, all’acquisto o al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari;
  3. g) concernenti i contratti di lavoro;
  4. h) concernenti servizi di difesa civile, di protezione civile e di prevenzione contro i pericoli forniti da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro identificati con i codici CPV 75250000-3, 75251000-0, 75251100-1, 75251110- 4, 75251120-7, 75252000-7, 75222000-8; 98113100-9 e 85143000-3 ad eccezione dei servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza;
  5. i) concernenti i servizi di trasporto pubblico di passeggeri per ferrovia o metropolitana;
  6. l) concernenti servizi connessi a campagne politiche, identificati con i codici CPV 79341400-0, 92111230-3 e 92111240-6, se aggiudicati da un partito politico nel contesto di una campagna elettorale per gli appalti relativi ai settori ordinari e alle concessioni”.

Con specifico riferimento al settore dei servizi legali, sono state approvate dall’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione) le Linee Guida n. 12, con delibera n. 907 del 24/10/2018.

Quando l’affidamento di servizi legali deve essere trattato come appalto?

Nelle citate Linee Guida viene precisato che l’affidamento dei servizi legali costituisce appalto qualora la stazione appaltante affidi la gestione del contenzioso in modo continuativo o periodico al fornitore nell’unità di tempo considerata (di regola il triennio); il singolo incarico conferito ad hoc costituisce invece un contratto d’opera professionale, consistendo nella trattazione della singola controversia o questione, ed è sottoposto al regime di cui all’articolo 17 del D. Lgs. n. 50/2016 (contratti esclusi dall’applicazione del Codice degli Appalti).

Con riferimento ai contratti esclusi dall’applicazione delle disposizioni previste dal Codice degli Appalti, l’art. 4 del D. Lgs. n. 50/2016 precisa che l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture debba in ogni caso avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità e tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.

La differenza tra appalto di servizi e contratto d’opera

Resta intesa, come rilevante la differenziazione tra appalto di servizi e contratto d’opera.

La Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia con deliberazione n.178 del 15 maggio 2014 in un parere reso ad un Comune della Provincia di Milano, delimita il confine tra la fattispecie dell’appalto di servizi e l’affidamento di un incarico professionale – contratto d’opera.

La Corte dei Conti, richiamando anche la sentenza n.2730/2012 del Consiglio di Stato ritiene che l’elemento qualificante dell’appalto di servizi sia dato dal fatto che l’affidatario di un appalto di servizi necessiti per l’espletamento dello stesso, di apprestare una specifica organizzazione finalizzata a soddisfare i bisogni dell’ente.

Conclude la Corte dei Conti che il codice dei contratti pubblici adotti una nozione più ampia di appalto di servizi, ma solo al fine di individuare l’applicabilità della disciplina di affidamento.

Rimane ferma però, a detta della Corte dei Conti, la nozione di appalto di servizi  così come delineata dal codice civile, che presuppone che la prestazione oggetto dell’obbligazione sia caratterizzata dalla sussistenza di una specifica organizzazione che possa garantire l’adempimento di una prestazione caratterizzata dalla complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della durata”.

In ogni caso, a prescindere da tali differenze la stipula di un contratto d’opera da parte della pubblica amministrazione, va preceduta dai seguenti requisiti:

  • l’affidamento dell’incarico deve essere preceduto da un accertamento reale sull’assenza di servizi o di professionalità, interne all’ente, in grado di adempiere l’incarico;
  • Va espletata una procedura di selezione comparativa, adeguatamente pubblicizzata, finalizzata ad assicurare alla P.A. la migliore offerta da un punto di vista qualitativo e quantitativo;
  • Deve essere acquisito il parere obbligatorio del Collegio dei revisori dell’ente ai sensi dell’art. 1, comma 42 della L. n. 311/2004;
  • Vanno  rispettati gli obblighi di comunicazione e pubblicità: il conferimento dell’incarico va comunicato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell’articolo 53, comma 14, secondo periodo, del d.lgs. 165/2001 e ne deve essere curata la pubblicazione sul sito web ai sensi dall’art. 15, comma 2 del d.lgs. 33/2013.
  1. Le ultime novità dal punto di vista giurisprudenziale

La Corte dei Conti Sezione Campania, con la sentenza n.88/2018, ha ritenuto che l’Amministrazione, pur seguendo le procedure in materia di appalti, nel caso di specie avesse in realtà conferito un incarico individuale ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs. n. 165/2001.

Nello specifico, un tanto era affermato in quanto risultava evidente che nella fattispecie oggetto d’esame fosse prevalente il “carattere personale o intellettuale della prestazione” nella persona del professionista di riferimento, anziché quello imprenditoriale in cui assume rilievo, assieme al requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di imprenditore commerciale (art. 2195 cod. civ.), ovvero l’organizzazione dei mezzi necessari.

Ne conseguiva che la dichiarazione ai fini fiscali di aver fornito “servizi di impresa” risultava del tutto irrilevante rispetto alla fattispecie lavorativa prestata e alle sue caratteristiche oggettive che doveva invece essere qualificata come affidamento di incarico di un contratto d’opera intellettuale (artt. 2222 e 2229 c.c.). Invero, anche la necessità di utilizzare, da parte di un professionista, mezzi compresi tra gli ordinari strumenti cognitivi ed operativi a disposizione di qualunque lavoratore del settore, non può essere sufficiente a far ritenere che il contratto debba essere inquadrato nell’appalto di servizi.

Quindi, la Corte dei Conti confermava che la fattispecie in esame rientrasse nell’ipotesi dei c.d. “servizi esclusi” del codice dei contratti pubblici, trovando applicazione in ogni caso i principi dettati dall’art. 4 del D. Lgs. n. 50/2016.

Quanto invece alla distinzione tra incarico legale ed appalto di servizi legali, già la Sentenza del Consiglio di Stato n. 2730/2012 aveva delineato che l’appalto costituisce qualcosa in più rispetto ad un singolo incarico di patrocinio legale: l’appalto è configurabile quando il servizio legale viene prestato per un determinato arco temporale ed in ragione di un predeterminato corrispettivo.

Ciò appare peraltro confermato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 6 giugno 2019 (C264/2018). La Corte di Giustizia ha infatti ribadito che gli incarichi legali sono esclusi dalla normativa generale sugli appalti in quanto diversi da ogni altro contratto, perché le relative prestazioni possono essere rese solo in ragione di un ambito fiduciario tra l’avvocato ed il cliente, peraltro caratterizzato dalla massima riservatezza.

In ogni caso, ciascuna amministrazione ben può organizzare, se lo ritiene opportuno, una apposita procedura selettiva tesa a comparare tra loro più professionisti per individuare lo specifico professionista da incaricare.

In merito, anche con riferimento ai principi generali del codice dei contratti pubblici, l’ANAC ha suggerito – senza obbligo alcuno di conformazione – alle amministrazioni di predisporre degli “elenchi” di avvocati ai quali eventualmente attingere per affidare eventuali incarichi.

Ancora, la Corte dei Conti, sezione d’Appello, con sentenza n. 155/2019, ha riformato la sentenza di condanna in primo grado per alcuni dirigenti di un Ente per aver dato luogo a rapporti di collaborazione esterna con alcuni professionisti senza aver svolto un effettivo e concreto accertamento sul personale interno da eventualmente utilizzare per rendere il servizio oggetto di incarico esterno.

Le motivazioni degli appellanti sono state accolte in quanto è stato ritenuto che i dirigenti fossero esenti da responsabilità per mancanza della colpa grave, in considerazione non solo delle gravi carenze degli organici, ma soprattutto della tempestiva attivazione di concorsi pubblici per la dotazione delle professionalità richieste per l’Ente.

Da ultimo, risulta opportuno ricordare anche la recente sentenza n. 11410/2019 del TAR Lazio, relativa alla legittimità di un avviso pubblico del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che intendeva ricercare un supporto tecnico ad elevato contenuto specialistico di professionalità altamente qualificate per svolgere consulenze a titolo gratuito.

Il TAR ha valutato che, date le caratteristiche indicate dall’avviso – che riguardava una consulenza eventuale ed occasionale nell’arco temporale di due anni – la consulenza non poteva essere qualificata come contratto di lavoro autonomo, ex art. 7, commi 6 e 6 bis, del D. Lgs n. 165/2001 e che non si trattava neppure di servizio il cui affidamento sarebbe stato sottoposto alla disciplina del Codice degli Appalti, considerata l’assenza della previsione del numero ben definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché di una selezione per l’aggiudicazione.

Per tali ragioni, il carattere gratuito della consulenza è stato ritenuto legittimo, in quanto nel nostro ordinamento non si rinviene alcun divieto in tal senso.

Da ultimo, la legge delega 21.6.2022 n.78 in tema di contratti pubblici , esclude la gratuità degli stessi salvo motivate eccezioni.

Fabio Petracci