Decreto Agosto – conversione in legge – le novità in materia di diritto del lavoro.

Con la legge 13 ottobre 2020 n.126 è stato convertito in legge il decreto legge 14 agosto 2020 n.104 (decreto agosto).

Sono state così introdotte in tema di lavoro alcune novità che si segnalano.

Restano in vigore:

La CIG COVID sino al 31.12.2020.

Il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo prorogato sino al 31.12.2020, con la possibilità di licenziare con tale causale per chi prima di quella data abbia esaurito le 18 settimane di CIG.

 

Novità.

 

I contratti a termine possono sino al 31.12.2020 essere prorogati per una sola volta e senza causale sino al 31.12.2020.

 

I contratti di somministrazione (interinale) sino al 31.12.2020 possono essere prorogati con la medesima persona oltre ai 24 mesi, purchè il medesimo lavoratore venga assunto a tempo indeterminato dall’agenzia somministratrice che ne deve dare comunicazione scritta all’utilizzatore.

 

Lavoro Agile deve essere concesso a chi abbia figli in quarantena per contagi avvenuti in ambito scolastico o sportivo-

 

Congedo Straordinario per gli stessi qualora sia inattuabile il lavoro agile.

 

Lavoratori Fragili collocazione in malattia sino al 31.12.2020 poi destinati al lavoro agile.

 

Scuola, personale docente ed ATA assunto quale organico COVID con contratto a tempo determinato per l’anno scolastico 2020/2021 in caso di Lock Down della scuola proseguirà con rapporto di lavoro agile.

 

 

 

 

 

 

 

Pubblico Impiego – Responsabilità Disciplinare – Licenziamento – Sanzioni disciplinari e licenziamento.

Il testo della lezione tenuta dall’avv. Petracci all’AGI -Associazione Giuslavoristi Italiani  il 2 ottobre 2020.

Pubblico Impiego – Responsabilità Disciplinare – Licenziamento – Sanzioni disciplinari e licenziamento.

  1. Aspetti comuni e generali
  2. Breve excursus storico
  3. Le fonti del potere disciplinare
  4. La procedura e la sanzione aspetti generali
  5. Il licenziamento

Aspetti comuni e generali

In ogni rapporto di lavoro, qualunque ne sia la connotazione normativa, la prestazione deve essere improntata a criteri di diligenza nei termini richiesti dalla natura della prestazione, ma anche da obblighi collaterali connessi alla fedeltà ed a condotte immuni dall’ interferire negativamente sul rapporto di lavoro. Non è però questa l’unica forma di responsabilità che incombe sul prestatore.

  • La sanzione disciplinare non esclude altre responsabilità del dipendente pubblico.

Responsabilità contrattuale – risarcitoria.

Il dipendente sarà in ogni caso, tenuto al risarcimento del danno al datore di lavoro nel caso di inesatto adempimento o inadempimento.

  • La base civilistica.

L’articolo 2086 –  l’articolo 2104 – 2106 – del codice civile.

Nell’ambito del codice civile, troviamo la norma di cui all’articolo 2086 che individua nell’imprenditore il capo dell’impresa, cui compete il potere gerarchico sui propri collaboratori.

La norma si completa con l’articolo 2104 che impone al prestatore un obbligo di diligenza, con l’articolo 2105 che impone un generale obbligo di fedeltà e, con l’articolo 2106, che consente nel caso di violazione dei suddetti obblighi, l’irrogazione di una sanzione disciplinare.

  • Dal Diritto amministrativo al diritto civile.

Con la riforma del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, trovava applicazione al rapporto di lavoro l’ordinaria disciplina del lavoro nell’ambito dell’impresa, ivi comprese le norme del codice civile.

  • Permangono però rilevanti specificità.

Alcuni aspetti del lavoro pubblico videro preservata la loro specificità, tra questi, le norme disciplinari, in nome della peculiarità del rapporto di lavoro.

Ciò non significa che l’ordinaria normativa sia incompatibile con il lavoro alle dipendenze pubbliche, ma essa è integrata e corretta da specifiche norme.

  • Le molteplici forme di responsabilità del dipendente pubblico. Nel pubblico impiego alla responsabilità disciplinare si aggiungono altre forme di responsabilità.

Nell’ambito del lavoro pubblico, si aggiungono poi altre forme di responsabilità specificamente normate.

Ci riferiamo alla responsabilità contabile per danni inflitti all’amministrazione, ed alla responsabilità nei confronti dei terzi, rafforzata dal principio costituzionale di cui all’articolo 28 che consente al cittadino danneggiato di rivalersi anche e direttamente sul dipendente che gli ha arrecato il pregiudizio. Ancor più specifica è la responsabilità dirigenziale a garanzia della corretta ed efficiente azione della dirigenza.

Ciò è per la gran parte dovuto all’ambito costituzionale, in cui è inserito il lavoro del dipendente pubblico.

Tratto comune alla responsabilità disciplinare, sia nel rapporto di lavoro nell’impresa, che in quello alle dipendenze delle pubbliche amministrazione, è la natura del bene tutelato e la finalità dell’istituto.

  • Peculiarità che si manifestano anche nella disciplina contrattuale.

Trattasi sicuramente di un potere contrattuale, ma che non punta tanto a reagire in maniera simmetrica ed automatica di fronte all’inadempimento, come ad esempio, imponendo una riparazione, quanto piuttosto esso punta in primo luogo a preservare la compattezza e la funzionalità dell’organizzazione, tanto che il fine risolutivo ne rappresenta solo l’estrema possibilità.

La normativa in materia è da intendersi ispirata all’articolo 97 della Costituzione, che vuole l’agire della pubblica amministrazione sia ispirato a criteri di imparzialità e di buon andamento.

  • L’attività del pubblico dipendente finalizzata al bene della collettività e non ad un interesse imprenditoriale.

In sintesi, è richiesto un nesso diretto e prevalente tra l’attività dei pubblici dipendenti ed il bene comune, laddove nell’impresa, il bene comune può raggiungersi con la sintesi degli interessi dei singoli privati per qualunque via, che non sia vietata dalla legge.

Da ciò ribadiamo, che anche dopo la cosiddetta privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, numerosi aspetti del rapporto di lavoro pubblico mantengano una loro tipicità, come la materia della responsabilità disciplinare.

 

Breve excursus storico

  • La legge Giolitti

Già agli albori del secolo scorso, il testo unico statuto degli impiegati civili, legge 290/1908 poi trasfuso nel T.U. degli impiegati civili dello Stato (legge Giolitti), conteneva una serie di norme dedicate alla disciplina del personale.

  • La legge 3/1957

Dopo l’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, era promulgata la legge n. 3/1957 che disciplinava l’impiego pubblico ed i doveri del dipendente.

  • Le caratteristiche dei vecchi sistemi.

Obblighi generici – Apparato procedurale di estrema complessità.

Questi doveri che erano compendiati in termini molto ampli e generici, dati da concetti come onore e decoro.

Meno discrezionale invece, era l’apparato procedurale, quanto mai minuzioso e farraginoso.

Dunque ampiezza nell’individuare le fattispecie disciplinarmente rilevanti e complessità della procedura. Il tutto si risolveva spesso nell’impossibilità di applicare la sanzione.

  • Il cammino verso la modernità.

Anche il lavoro pubblico risente dei grandi mutamenti del lavoro degli anni 70. – Il cammino verso un sistema sanzionatorio predefinito e razionale.

  • Lo statuto dei lavoratori.

Contestualmente o di lì a poco, negli anni 70, il mondo del lavoro subiva grandi cambiamenti, che si riflettevano anche sul piano normativo soprattutto con lo statuto dei lavoratori che limitava il potere disciplinare mediante l’articolo 7 dello Statuto, che imponeva la predeterminazione delle sanzioni unitamente ad una procedura snella e garantista.

  • Verso la contrattualizzazione. – La legge 93/83.

Seguiva in tema di pubblico impiego, la legge 93/83 che con l’articolo 22, rendeva necessaria anche nell’ambito sanzionatorio dei pubblici dipendenti, la predeterminazione della sanzione ed il diritto di difesa del dipendente.

Tempo dopo, il Consiglio di Stato emetteva un parere che riteneva possibile una responsabilità disciplinare su base contrattuale.

Era quindi il DLGS 546/93 che riconosceva ai contratti collettivi la facoltà di definire la tipologia delle sanzioni.

  • La contrattualizzazione

Il cambiamento è ancora maggiore con la cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego.

La trasformazione giungeva all’epilogo, con il DLGS 29/93 che all’articolo 4, riconosceva come il datore di lavoro pubblico agisca con i poteri del privato.

Permangono elementi di specificità destinati a modularsi nel tempo.

Rimaneva comunque una specificità dell’istituto sanzionatorio nel pubblico impiego. Detta specificità era ripresa dal DLGS 150/2009 (riforma Brunetta) che ci presenta l’attuale impianto sanzionatorio.

Sintesi.

Anche in quest’ambito si passa da principi generali ed unilaterali a criteri specifici di natura contrattuale;

Si crea così una vera e propria procedura.

 

Le fonti del potere disciplinare

Riconosciuti i principi generali che connotano la responsabilità disciplinare in ambito lavoristico, riconosciuta la natura contrattuale del rapporto di lavoro, è affidata alla contrattazione collettiva, in concorso con la legge, la disciplina sanzionatoria; del resto nulla vieta che la parte sanzionatoria sia affidata ad una pluralità di fonti.

  • La contrattazione collettiva.

Sebbene la riforma di cui al DLGS 150/2009 abbia inibito alla contrattazione collettiva di disciplinare l’aspetto procedurale delle sanzioni, attribuendo inoltre alle norme introdotte la disciplina del procedimento sanzionatorio, ad oggi le fattispecie disciplinari e quindi l’entità delle sanzioni sono in gran parte ancora disciplinate dalla contrattazione collettiva. Non mancano però, come vedremo, le fonti legali.

Molti contratti collettivi portano in allegato un codice di condotta.

Per quanto riguarda la pubblicità delle norme sanzionatorie, il DLGS 165/2001 nella versione attuale che ha fatto seguito al DLGS 150/2009, prevede l’equipollenza tra l’affissione del codice disciplinare all’ingresso della sede di lavoro e la sua pubblicazione sul sito web dell’amministrazione.

L’innovazione contenuta all’articolo 55 del DLGS 165/2001 eviterà sicuramente il proliferare dei contenziosi spesso fondati dove si eccepiva la mancata o insufficiente affissione del codice disciplinare.

Sintesi.

Notiamo un graduale ritorno alla fonte legale a garanzia dell’effettività e serietà della sanzione;

Un tanto in base ai più recenti interventi normativi:

Legge 150/2009 – legge Brunetta

Legge 124/2015 e DLGS 75/2017 – legge Madia

  • Il codice di comportamento previsto dall’articolo 54 Dlgs165/2001

Il codice di comportamento ha ormai acquisito valenza disciplinare e non meramente etica. Il primo codice di condotta venne adottato con D.M della funzione pubblica del 31.3.1994 e venne quindi adottato uno nuovo con D.P.C.M. del 28.11.2000.

Ora questa specifica fonte è prevista dall’articolo 54 comma 3 del DLGS 165/2001, come forma di integrazione al CCNL.

  • L’influenza della legge anticorruzione sul sistema disciplinare ed in particolare sul codice di comportamento.

E’ stata proprio la  legge anticorruzione (legge 7.11.2012 n.190) a prevedere l’inserimento in ambito disciplinare di norme atte a prevenire, e reprimere, i fenomeni di corruzione nell’ambito della pubblica amministrazione, prevedendo un generale codice di comportamento, da integrarsi con uno specifico, per ciascuna amministrazione. Fu proprio questa legge ad introdurre il sopra citato articolo 54, comma 3, del DLGS 165/2001.

Tale fonte del potere disciplinare è ora equiparata alla parte disciplinare del contratto collettivo.

Sintesi.

Il codice di comportamento assume valenza di fonte specifica ed atipica del sistema disciplinare pubblico.

  •  La legge.

Con l’entrata in vigore del DLGS 165/2001 diverse fattispecie disciplinari trovano la loro fonte proprio in questa legge. E’ affidata inoltre alla legge la definizione procedurale in materia disciplinare.

Dunque, toccheremo mediante una compiuta esposizione tutto il campo disciplinare del pubblico impiego privatizzato, per soffermarci poi sugli aspetti procedurali, con i tempi di durata che li caratterizzano e con l’intervento prospettato dalla legge delega.

 

La procedura disciplinare e la previsione sanzionatoria – principi generali

  • Il binomio legge contratto e la natura imperativa delle disposizioni disciplinari.

La materia si identifica in una parte ben delimitata del testo unico sul pubblico impiego, DLGS 165/2001.

Essa tra l’altro ha subito gli effetti del DLGS 150/2009 (Riforma Brunetta), improntato a criteri di estrema rigorosità, ma anche a regole automatiche ad evitare probabilmente derive di ingiustificata permissività.

  • L’articolo 55 bis del DLGS 165/2001 – Lo snodo della materia.

La norma generale è data dall’articolo 55 del Dlgs 165/2001 dove si leggono i principi generali della materia e riservano l’aspetto procedurale disciplinare alla regolamentazione di legge.

L’articolo in tal modo definisce le fonti che disciplinano la materia come fonti imperative che non possono essere derogate né dalla contrattazione collettiva, né tantomeno dalle parti.

  • Cosa residua alla fonte collettiva.

Alla contrattazione collettiva è riservato solo di determinare la tipologia delle infrazioni e delle sanzioni.

La norma ha una sua razionalità in quanto solo la normativa di settore può conoscere la gravità di determinate situazioni e la sanzione appropriata.

Rimane alla legge in termini inderogabili la disciplina della procedura per l’irrogazione della sanzione.

  • Imperatività ed inderogabilità.

Esso significa che la materia è per la gran parte inderogabile da parte della contrattazione collettiva, dai regolamenti   dalla volontà dei soggetti che sono parte del procedimento.

  • La residua competenza della contrattazione collettiva. – Con l’avvertimento che i casi di responsabilità e le sanzioni possono essere definiti anche dalla legge.

La tipologia dei casi di responsabilità è affidata alla contrattazione collettiva, ma non in maniera esaustiva e completa. Il sistema disciplinare nell’attuale regime giuridico del lavoro pubblico privatizzato evidenzia dal 2009 in poi , un generale ridimensionamento del ruolo della contrattazione collettiva (in precedenza fonte privilegiata dopo il DLGS 29/93, a vantaggio della fonte legislativa.

Un tanto trova conferma nell’articolo 40 comma 1 del DLGS 165/2001 che prevede che nella materia relativa alle sanzioni disciplinari, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge, chiude il sistema l’articolo 55 comma 1 del medesimo decreto legislativo che, come già notato, attribuisce alle norme disciplinari ivi contenuto carattere di norme imperative.

  • La cedevolezza della disciplina contrattuale in favore di quella legale.

Ne consegue che le previgenti norme contrattuali in tema di sanzioni ben possono essere affiancate da previsioni legislative, ma se in contrasto con queste ultime possono essere sostituite di diritto. (Vito Tenore, Studio sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego, Giuffrè, 2017,94 e seguenti).

In proposito va sottolineato come le norme contrattuali in materia, in caso di contrasto con le fonti legislative inderogabili sono considerate nulle di diritto ed automaticamente sostituite  ex articolo 1339 e 1419.

Va notato poi che nella materia disciplinare è intervenuta pure la legge 190 del 2012, legge anticorruzione.

  • Il principio di inderogabilità impone anche obblighi collaterali nell’applicazione della sanzione.

A. L’obbligatorietà.

L’imperatività delle norme procedurali che concernono la sanzione disciplinare nel pubblico impiego comportano un corollario di norme e di principi riferibili all’obbligatorietà dell’avvio dell’azione stessa di fronte a notizia con ipotetico fondamento e l’obbligo per i dipendenti non incolpati di collaborare nell’azione promossa dalla pubblica amministrazione.

In sintesi l’officialità dell’azione disciplinare e l’inderogabilità delle regole determinano sul piano legale le seguenti regole sancite per la gran parte dall’articolo 55 del DLGS 165/2001:

B. Sono ammesse con notevoli limitazioni le procedure conciliative.

Sono ammesse soltanto procedure conciliative nell’ambito delle quali, la sanzione deve comunque mantenere la tipologia originaria , potendone solo essere ridotta l’entità.

Ad esempio nel cui ambito si può passare da 10 giorni di sospensione a 5, ma mai dalla fattispecie della sospensione alla multa.

Sancisce un tanto l’articolo 55 del DLGS 165/2001.

C. Per il dirigente sussiste l’obbligo di avviare il procedimento disciplinare di fronte alla conoscenza di un fatto non palesemente infondato avente rilevanza disciplinare. L’obbligo è sanzionato disciplinarmente.

D. L’obbligo di collaborazione e segnalazione.

E’ imposto per legge l’obbligo per i dipendenti pubblici di collaborare con gli organi disciplinari.

Esso si applica al dipendente o al dirigente che, a conoscenza di fatti aventi rilevanza disciplinare non li segnala all’amministrazione.

Anche quest’obbligo è sanzionato disciplinarmente.

E. La procedura disciplinare.

  • Il doppio binario.

Con l’articolo 55 bis, come modificato dalla riforma Madia è’ introdotto un doppio binario per disciplinare la sanzione. Il primo riguarda la sanzione minore data dal semplice richiamo orale, il secondo dalle ulteriori e più gravi sanzioni.

  • Per le sanzioni minori.

E’ così stabilito che per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l’irrogazione della sanzione del rimprovero verbale, il procedimento disciplinare è di competenza del responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente. E’ stabilito inoltre che  alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo.

  • L’Ufficio Disciplinare.

La riforma inoltre istituzionalizza in maniera completa l’apposito Ufficio Disciplinare.

Lo fa mediante  il comma 2 dell’articolo 55 bis del DLGS 55 bis prevedendo che ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento e nell’ambito della propria organizzazione, individua l’ufficio per i procedimenti disciplinari competente per le infrazioni punibili con sanzione superiore al rimprovero verbale e ne attribuisce la titolarità e responsabilità.

Ne è prevista anche la gestione congiunta, laddove al comma 3 si legge che le amministrazioni, previa convenzione, possono prevedere la gestione unificata delle funzioni dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari

  • Un aspetto molto delicato. I termini ed i termini di decadenza.

a Il termine di 10 giorni per la segnalazione all’ufficio disciplinare.

Per quanto attiene i termini per l’avvio della procedura, il comma 4 del DLGS 165/2001 stabilisce che il responsabile della struttura entro 10 giorni segnala il fatto all’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari.

b Il termine di 30 giorni per la contestazione. (a pena di decadenza).

Quest’ultimo ufficio non oltre 30 giorni  dalla segnalazione, provvede poi alla contestazione, convocando l’interessato per l’audizione con un preavviso di almeno 20 giorni e con l’assistenza di procuratore o rappresentante sindacale.

c. Il termine di 120 giorni dalla contestazione per la conclusione del procedimento. ( a pena di decadenza).

Entro 120 giorni dalla contestazione dell’addebito, il procedimento deve concludersi o con l’archiviazione o con l’irrogazione della sanzione.

d. Il termine per inviare gli atti all’Ispettorato per la Funzione Pubblica.

E’ introdotto inoltre un obbligo per l’amministrazione di inviare gli atti di avvio e di conclusione del procedimento all’Ispettorato per la Funzione Pubblica entro 20 giorni dalla loro adozione, indicando il dipendente con un codice identificativo al fine di tutelarne la riservatezza.

  • Quando i termini sanciscono la decadenza.

Per quanto riguarda i termini di decadenza, con l’introduzione dell’articolo 9 ter dell’articolo 55 bis del DLGS 165 / 2001 è delimitata la tassatività della decadenza per la violazione dei termini del procedimento disciplinare, in quanto le ipotesi di decadenza sono ristrette ai casi dove la tardività abbia effettivamente compromesso in maniera irrimediabile il diritto di difesa del dipendente.  Sono così da considerarsi perentori il termine per la contestazione dell’addebito e il termine per la conclusione del procedimento.

  •  La cessazione del rapporto di lavoro produce il venir meno dell’effetto della sanzione, ma ciò non accade per il licenziamento.

Il comma 9 dell’articolo 55 bis del DLGS 165/2001 che stabilisce come la cessazione del rapporto estingua il procedimento disciplinare, salvo che sia prevista la sanzione del licenziamento o l’applicazione della sospensione cautelare.

  • Il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale.

Un punto dove il procedimento disciplinare nell’ambito del lavoro pubblico contrattualizzato si differenzia dai procedimenti disciplinari in ambito lavorativo è quello del rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale.

  • Viene meno la pregiudizialità penale.

La riforma Brunetta del 2009 ha introdotto l’articolo 55 ter del DLGS 165/2001 che ha fatto venir meno la pregiudizialità penale e consente dunque di procedere con l’applicazione della sanzione anche in pendenza del giudizio penale, fatta salva la possibile revisione del giudizio disciplinare una volta determinatasi la sentenza penale irrevocabile di assoluzione o di condanna.

Dunque la separatezza dei giudizi non comporta l’assoluta indifferenza del procedimento disciplinare rispetto al processo penale.

  • La mera eventualità della sospensione.

Infatti, la sospensione del procedimento disciplinare è solo eventuale allorquando la sanzione sia ipoteticamente superiore ai 10 giorni di  sospensione ed inoltre manchino all’amministrazione sufficienti prove.

  • La possibilità di riaprire il procedimento all’esito del processo penale.

Nel corso della sospensione, il procedimento può essere   riattivato qualora non si sia verificata l’archiviazione o l’assoluzione penale.

Dopo l’intervenuto esito del procedimento penale, si possono verificare nei casi ove sia intervenuta la sospensione,

In ogni caso non sussistono automatismi.

  1. Il dipendente è assolto per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato – in questo caso, egli entro 6 mesi deve chiedere la riapertura del procedimento.
  2. Se invece nel procedimento disciplinare il dipendente è stato prosciolto e viene condannato nel procedimento penale, l’amministrazione ha 60 giorni di tempo per effettuare una nuova contestazione e riaprire il procedimento disciplinare.
  3. Nel caso di esito sanzionatorio del procedimento disciplinare, in caso di assoluzione nel procedimento penale, l’onere di chiedere la riapertura incombe sull’incolpato.
  • La riapertura del processo disciplinare.

La riforma Madia ha ulteriormente l’articolo 55 ter del DLGS 165/2001 consentendo la riapertura del processo disciplinare sospeso anche qualora pur non definito il processo penale, l’amministrazione venga in possesso di elementi nuovi sufficienti per riaprire il procedimento.

La legge di riforma ha inoltre innovato il comma 4 dell’articolo 55 ter del DLGS 165/2001 stabilendo che nel caso di riapertura del procedimento disciplinare , la contestazione debba essere rinnovata entro 60 giorni dalla comunicazione della sentenza da parte della cancelleria del giudice, quindi il procedimento si svolgerà con l’integrale rinnovo della procedura prevista dall’articolo 55 bis e già menzionata.

Sintesi applicativa.

Non esiste la pregiudiziale penale – il processo disciplinare e quello penale sono autonomi;

Possiamo però dire che essi interferiscono – il procedimento penale una volta definito, viene a pesare nel procedimento disciplinare;

Va notato che un fatto può avere rilevanza disciplinare , ma non penale;

Viceversa un fatto penalmente rilevante potrebbe non interferire diisciplinarmente nel rapporto di lavoro;

Il raccordo tra i due sistemi è dato da:

  1. La sospensione del procedimento nei casi più gravi;
  2. La riapertura del procedimento disciplinare ad accertamento penale avvenuto;

 

Breve sintesi di recente giurisprudenza in tema di procedimenti disciplinari

Mancata istituzione dell’ufficio per i procedimenti disciplinari.- illegittimità del provvedimento.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 21-03-2017, n. 7177

E’ illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore pubblico da un organo incompetente, non essendo stato istituito dall’amministrazione l’ufficio per i procedimenti disciplinari competente, ai sensi dell’ art. 55-bis, 4° commaD.Lgs. n. 165 del 2001, per le sanzioni più gravi della sospensione dal servizio e dalla retribuzione da undici giorni a sei mesi.

 

Termine perentorio per l’irrogazione della sanzione decorrenza dall’acquisizione dell’ufficio della completa notizia dell’infrazione.

Cass. civ. Sez. lavoro, 20-03-2017, n. 7134 (rv. 643567-01)

  1. c. C.

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la conclusione del procedimento disciplinare dall’acquisizione della notizia dell’infrazione (ex art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001), in conformità con il principio del giusto procedimento, come inteso dalla Corte cost. (sentenza n. 310 del 5 novembre 2010), assume rilievo esclusivamente il momento in cui tale acquisizione, da parte dell’ufficio competente regolarmente investito del procedimento, riguardi una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione; ciò vale anche nell’ipotesi in cui il procedimento predetto abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti sui quali è in corso un procedimento penale, per cui sarebbe ammessa la sospensione del primo, e che, comunque, ai fini disciplinari, vanno valutati in modo autonomo e possono portare anche al licenziamento del dipendente. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO NAPOLI, 09/10/2015)

 

 Licenziamento disciplinare. Non serve la condanna penale, necessaria e sufficiente la valutazione del fatto.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 02-03-2017, n. 5317 (rv. 643273-02)

 Nei rapporti di lavoro pubblico privatizzato, l’art. 67 del c.c.n.l. del comparto Ministeri del 28 maggio 2004 legittima il licenziamento disciplinare, non solo in caso di condanna definitiva per fatti di reato non connessi alla prestazione dell’attività lavorativa, nelle ipotesi di cui alla lett. h) del comma 5 ed alla lett. e) del comma 6, ma anche per fatti che, ai sensi della lett. d) del comma 6, costituendo, o meno, illeciti di rilevanza penale, siano di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. (Rigetta, CORTE D’APPELLO BARI, 27/05/2015)

 

La pubblica amministrazione nell’istruire la pratica disciplinare può anche servirsi di singoli elementi dell’inchiesta penale.

Cons. Stato Sez. IV, 22/06/2020, n. 3956

In tema di pubblico impiego, in sede disciplinare, a seguito di un processo penale, l’amministrazione può legittimamente tener conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alla luce del principio di economicità del procedimento, ma a condizione che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare

 

Licenziamento disciplinare a seguito di avvenuto patteggiamento. Termine decadenziale decorre dall’avvenuta conoscenza della sentenza di patteggiamento.

Cass. civ. Sez. lavoro, 02-03-2017, n. 5313 (rv. 643271-01)

 In tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini della decorrenza del termine per l’instaurazione del procedimento disciplinare, a seguito di giudizio penale definito con sentenza di patteggiamento, occorre avere riguardo al momento in cui l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari è venuto in possesso della copia della sentenza recante l’attestazione della sua irrevocabilità, restando irrilevante la semplice conoscenza del provvedimento in epoca anteriore alla data di trasmissione. (Rigetta, CORTE D’APPELLO NAPOLI, 24/07/2014)

 

La prescrizione penale non fa venir meno il potere sanzionatorio disciplinare.

 Cons. Stato Sez. IV, 22/06/2020, n. 3956

In materia di procedimento disciplinare del pubblico impiegato, la P.A. può procedere con le sanzioni anche nel caso in cui il processo penale si sia concluso con il proscioglimento dell’imputato, a fortiori se determinato dall’estinzione del reato per prescrizione, atteso che uno stesso comportamento del dipendente mentre, in sede penale, può essere valutato in maniera tale da giustificare una sentenza di proscioglimento, in sede disciplinare, può essere, viceversa, qualificato dall’Amministrazione competente come illecito disciplinare.

 

 Ufficio per i Procedimenti Disciplinari – La competenza è del luogo dove il lavoratore prestava servizio all’epoca del fatto.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 21-02-2017, n. 4447 (rv. 643267-01)

 In materia di pubblico impiego contrattualizzato, la competenza ad avviare e concludere il procedimento disciplinare, nella vigenza dell’ art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001 (anteriormente all’aggiunta dell’art. 55-bis ad opera del d.lgs. n. 150 del 2009 ), è dell’ufficio per i procedimenti disciplinari del luogo, ossia della sede lavorativa, dove il lavoratore prestava servizio quando i fatti, come conosciuti dall’amministrazione, hanno assunto evidenza disciplinare, senza che rilevi il successivo trasferimento del lavoratore medesimo ad altra sede appartenente alla stessa P.A., ancorché gravante nella sfera di competenza di altro ufficio disciplinare. (Rigetta, CORTE D’APPELLO CATANZARO, 28/12/2010)

 

Notizia di infrazione acquisita prima dell’entrata in vigore di nuova legge. Vale la disciplina della legge anteriore in vigore al compimento dell’atto.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 09-01-2017, n. 209 (rv. 642816-01)

In tema di procedimento disciplinare nel pubblico impiego contrattualizzato, ove la notizia dell’infrazione sia stata acquisita prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009, e l’amministrazione abbia optato per il differimento dell’iniziativa disciplinare all’esito del giudizio penale, la fattispecie resta regolata dalla disciplina previgente, in forza del generale principio per cui i procedimenti sono regolati dalla normativa del tempo in cui gli atti sono stati posti in essere, sicché non vi è alcun onere di riattivazione del procedimento in conseguenza della definitiva soppressione della regola della pregiudizialità penale ad opera della novella. (Rigetta, CORTE D’APPELLO LECCE, 21/08/2014)

 

 L’ingiustificato rifiuto di sottoporsi a visita medica di idoneità è causa di licenziamento disciplinare.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 07-11-2016, n. 22550 (rv. 641603)

Nel pubblico impiego contrattualizzato, la risoluzione del rapporto di lavoro – a seguito del procedimento di cui all’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 – nel caso di ingiustificato rifiuto, da parte del dipendente pubblico, di sottoporsi alla visita medica di idoneità, reiterato per almeno due volte, di cui al combinato disposto dell’art. 55 octies, lett. d), del d.lgs. n. 165 del 2001 con l’art. 6 del d.P.R. n. 171 del 2011, costituisce autonoma ipotesi di licenziamento disciplinare, finalizzata ad assicurare il rispetto delle altre norme dettate dall’art. 55 octies, sempre tutelando il diritto di difesa del dipendente. (Rigetta, App. L’Aquila, 16/10/2014)

 

Il procedimento disciplinare oggetto di decadenza per decorrenza dei termini, non può essere oggetto di rinnovazione.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 15-09-2016, n. 18128 (rv. 641087)

 Nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, la natura perentoria dei termini del procedimento disciplinare stabiliti dalla contrattazione collettiva e, nei procedimenti avviati, successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009, dagli artt. 55-bis e seguenti del d.lgs. n. 165 del 2001, impedisce la rinnovazione del procedimento disciplinare che si sia concluso con sanzione annullata per vizio di forma quando la nuova iniziativa disciplinare venga intrapresa per i medesimi fatti una volta spirati i termini. (Cassa con rinvio, App. Messina, 16/07/2013)

 

Le dimissioni del dipendente non estinguono il procedimento.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 24-08-2016, n. 17307 (rv. 641012)

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, l’art. 55 bis, comma 9, del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo cui, in caso di sospensione cautelare dal servizio e di infrazione disciplinare di natura e gravità tale da giustificare il licenziamento, l’azione disciplinare nei confronti del dipendente dimessosi deve essere iniziata e/o proseguita, nel rispetto dei termini di cui allo stesso art. 55 bis, si applica anche quando le dimissioni siano intervenute in epoca antecedente all’avvio del procedimento, sussistendo l’interesse dell’amministrazione ad accertare le responsabilità disciplinari al fine di impedire che il dipendente possa essere riammesso in servizio, partecipare a successivi concorsi pubblici, o far valere il rapporto di impiego come titolo per il conferimento di incarichi da parte della p.a. (Cassa con rinvio, App. Roma, 28/05/2014)

 

Termine a difesa minore di quello previsto dalla legge. La nullità del procedimento può essere comminata solo se l’incolpato dimostra una effettiva lesione del diritto di difesa.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 22-08-2016, n. 17245 (rv. 640922)

In materia di procedimento disciplinare nel pubblico impiego contrattualizzato, l’art. 55 bis, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede un termine, di carattere meramente endoprocedimentale, per la convocazione a difesa dell’incolpato, di dieci o, nel caso di provvedimenti più gravi, venti giorni, sicché la contrazione di esso può dare luogo a nullità del procedimento, e della conseguente sanzione, solo ove sia dimostrato, dall’interessato, un pregiudizio al concreto esercizio del diritto di difesa. (Rigetta, App. Palermo, 12/06/2014)

 

 La violazione dell’obbligo di esclusività può dar luogo al licenziamento disciplinare anche se la violazione è rimossa a seguito di diffida.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 04-04-2017, n. 8722

Posto che, in caso d’incompatibilità assoluta, la violazione dell’obbligo di esclusività può essere fonte di responsabilità disciplinare anche qualora l’incompatibilità sia rimossa a seguito della diffida, è legittimo il licenziamento irrogato al direttore amministrativo sanitario che, prima della diffida, aveva svolto attività di amministratore o liquidatore di varie società, irrilevante essendo al riguardo la condotta inerte tenuta per qualche tempo dall’amministrazione datrice di lavoro.

 

L’incompatibilità può essere causa di licenziamento.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 04-04-2017, n. 8722 (rv. 643904-01)

In materia di pubblico impiego contrattualizzato, nell’ipotesi di incompatibilità assoluta vengono in rilievo due diversi aspetti: l’uno, relativo alla cessazione automatica del rapporto, che si verifica qualora essa non venga rimossa nel termine assegnato al dipendente con la diffida, ai sensi dell’ art. 63 del d.P.R. n. 3 del 1957; l’altro, inerente alla responsabilità disciplinare, per violazione dell’obbligo di esclusività, che può essere ravvisata anche ove l’incompatibilità venga rimossa, ed in tale ultimo caso la sanzione irrogata dal datore di lavoro deve essere proporzionata alla gravità della condotta, da valutarsi negli aspetti oggettivi e soggettivi, in relazione alla quale assumono particolare rilievo il comportamento del dipendente dopa la diffida e la mancata rimozione della incompatibilità. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO VENEZIA, 30/12/2015)

 

Anche molteplici iniziative assunte allo scopo principale di disturbare il datore di lavoro pubblica amministrazione possono essere giusta causa di licenziamento.

Cass. civ. Sez. lavoro, 25-01-2016, n. 1248

 La molteplicità di iniziative strumentalmente assunte dal lavoratore per disturbare il datore di lavoro ed indurlo alla concessione di un trasferimento non dovuto costituisce ai fini disciplinari un comportamento unitario e complessivo rispetto al quale deve essere valutata l’immediatezza della contestazione disciplinare. La presentazione da parte del lavoratore di numerose istanze infondate e strumentali per indurre il datore di lavoro a concedere un trasferimento legittimamente negato costituisce abuso di diritto in quanto il lavoratore esercita i propri diritti con modalità ultronee ed al fine di conseguire risultati diversi rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti sì da causare al datore di lavoro un sacrificio sproporzionato ed ingiustificato. L’abuso di diritto da parte del lavoratore, consistente nella presentazione di molteplici istanze pretestuose finalizzate ad ottenere un trasferimento non dovuto, costituisce un comportamento atto a ledere il vincolo fiduciario legittimando il licenziamento per giusta causa del lavoratore.

 

 Condotta volta a gettare ingiusto discredito sull’amministrazione, costituisce giusta causa di licenziamento.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 24-01-2017, n. 1752

E’ legittimo il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore pubblico che invii ad alcuni soggetti istituzionali (prefettura, procura della repubblica e Corte dei conti) una memoria contenente la denunzia di condotte illecite da parte dell’amministrazione di appartenenza palesemente priva di fondamento, configurandosi una condotta illecita, univocamente diretta a gettare discredito sull’amministrazione medesima, non potendosi peraltro configurare, nella specie, le condizioni per l’applicabilità della disciplina del c.d. «whistleblowing» ex art. 54 bis D.Lgs. n. 165 del 2001.

 

Definizione di falsa attestazione di presenza in servizio.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 09-03-2017, n. 6099

 La falsa attestazione della presenza in servizio di cui all’ art. 55-quater, comma 1, lett. a)D.Lgs. n. 165 del 2001 ricorre ogni volta che, nell’intervallo compreso tra le registrazioni effettuate in entrata e in uscita, il lavoratore risulti assente per un periodo di tempo economicamente apprezzabile, indipendentemente dalla sussistenza nella sua condotta di ulteriori e particolari modalità fraudolente.

 

 Comportamento fraudolento atto a favorire l’aggiramento del rilevamento presenze – giusta causa di licenziamento.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 14-12-2016, n. 25750 (rv. 642497-01)

In tema di licenziamento disciplinare, rientra tra le ipotesi di assenza ingiustificata di cui all’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo, applicabile “ratione temporis”, vigente già prima delle modifiche introdotte dall’art. 3 del d.lgs. n. 116 del 2016, non solo il caso dell’alterazione del sistema di rilevamento delle presenze, ma anche l’allontanamento del lavoratore nel periodo intermedio tra le timbrature di entrata ed uscita, trattandosi di un comportamento fraudolento diretto a fare emergere falsamente la presenza in ufficio

 

Contrattazione collettiva comparto pubblico – clausole che prevedono il licenziamento – restano assoggettate al vaglio del giudice-

Cass. civ. Sez. lavoro, 01-12-2016, n. 24574 (rv. 642037-01)

 In tema di licenziamento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, le fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, introdotte dall’art. 55 quater, comma 1, lett. da a) ad f), e comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituiscono ipotesi aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva – le cui clausole, ove difformi, vanno sostituite di diritto ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c. – per le quali compete soltanto al giudice, ex art. 2106 c.c., il giudizio di adeguatezza delle sanzioni. (Rigetta, CORTE D’APPELLO GENOVA, 26/06/2013).

Di recente confermata da

Cass. civ. Sez. lavoro, 10/07/2020, n. 14811

E’ valido il generale principio secondo cui le previsioni della contrattazione collettiva che graduano le sanzioni disciplinari non sono vincolanti per giudice del merito, essendo quelle della giusta causa e del giustificato motivo di licenziamento nozioni legali, mentre il giudice deve tenere conto di tali tipizzazioni per le sanzioni conservative. Trattandosi di una condizione di maggior favore per l’incolpato, il giudice è, in linea di principio, vincolato dal CCNL nel senso che se alla mancanza il CCNL ricollega una sanzione conservativa, il giudice non può estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall’autonomia delle parti.

 

 Assenza ingiustificata oltre tre giorni in assenza di scriminate è giusta causa di licenziamento.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 19-09-2016, n. 18326 (rv. 641265)

In tema di pubblico impiego privatizzato, l’assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio, consente l’intimazione della sanzione disciplinare del licenziamento, ai sensi dell’art. 55 quater, lett. b), del d.lgs. n. 165 del 2001, purché non ricorrano elementi che assurgono a “scriminante” della condotta tenuta dal lavoratore, tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa, in relazione sia all’adempimento della prestazione principale sia agli obblighi strumentali di correttezza e diligenza per la fruizione (previa richiesta) di pause, ferie e in generale di cause di sospensione del rapporto di lavoro. (Cassa con rinvio, App. Brescia, 31/05/2012).

 

False dichiarazioni all’atto dell’assunzione costituiscono giusta causa di licenziamento in assenza di elementi di giustificazione la prova della cui sussistenza grava sul lavoratore.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 24-08-2016, n. 17304 (rv. 640878)

In tema di licenziamento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, nei casi in cui sia contestata, ex art. 55 quater, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 165 del 2001, la condotta di false dichiarazioni commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera (nella specie, relativa al possesso dei requisiti di ammissione ad un concorso), la prova della giusta causa o del giustificato motivo del licenziamento, a carico del datore di lavoro, ha ad oggetto solo la falsità delle attestazioni delle dichiarazioni nella loro oggettività, mentre grava sul lavoratore l’onere di provare gli elementi che possono giustificare la falsa attestazione, e la sua dipendenza da causa a lui non imputabile, in quanto solo l’autore è in grado di provare che la sua condotta è frutto di un incolpevole errore circa il contenuto e la veridicità delle sue dichiarazioni. (Cassa con rinvio, App. Cagliari, 10/07/2013)

 

 Consapevolezza del disservizio arrecato all’amministrazione va valutata ai fini della giusta causa di licenziamento.

 Cass. civ. Sez. lavoro, 06-06-2014, n. 12806

In tema di licenziamento disciplinare, la valutazione della condotta del lavoratore deve tenere conto anche del disvalore ambientale che essa assume, in virtù della posizione professionale rivestita dal dipendente, di guisa che va affermata la proporzionalità della sanzione espulsiva pure al cospetto di un unico episodio di insubordinazione, qualora questo consista in una prolungata assenza ingiustificata dal servizio nonostante il diniego formale di concessione delle ferie per le giornate richieste, e la condotta sia stata posta in essere da un lavoratore (nella specie, una educatrice della prima infanzia) che, data la sua considerevole anzianità di servizio e lo svolgimento di attività sindacale, era consapevole del disservizio educativo cagionato.

 

Il licenziamento del pubblico dipendente

  • La disciplina generale e la specialità.

Stabilisce il comma 2 dell’articolo del Dlgs 165/2001 che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel DLGS 165/2001 – Testo Unico del Pubblico Impiego che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. E’ previsto inoltre che eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge.

  • La regola e l’eccezione.

Ciò significa che, almeno in linea di massima, la normativa in tema di licenziamenti deve essere applicata anche nell’ambito del pubblico impiego. Ciò salvo che nel D.LGS 165/2001 siano contenute normative diverse.

Dunque, giuridicamente, il licenziamento per giusta causa è stato ed è sempre possibile nelle pubbliche amministrazioni.

Sarà sufficiente che la sanzione del licenziamento sia prevista come tale nel contratto collettivo o che comunque in ogni caso, essa vada a colpire una condotta fortemente ed irrimediabilmente lesiva del vincola fiduciario che lega il dipendente pubblico all’amministrazione datrice di lavoro.

  • La peculiarità. – La legge stabilisce le ipotesi di licenziamento.

Ipotesi tassative di licenziamento.

Si aggiungono ciò, anche specifiche e tassative ipotesi dove, in forza della particolare gravità che le stesse rappresentano, la legge fa scattare la sanzione del licenziamento all’accadere di un determinato fatto senza la mediazione della contrattazione o di un giudizio di merito

Esamineremo sul tema la normativa speciale introdotta con il DLGS 150/2009 (legge Brunetta) ed inserita nel DLGS 165/2001e che trova sostanziale conferma con talune modifiche nel DLGS 75/2017 (Riforma Madia) essa, come già accennato introduce delle specifiche e tassative ipotesi, ricorrendo le quali il pubblico dipendente deve essere licenziato. Gran parte di queste previsioni sono sintetizzate nell’articolo 55 quater.

Le fattispecie possono essere di seguito trattate:

  1. Falsa attestazione della presenza in servizio. Si verifica allorquando siano messe in atto attività di alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza in maniera fraudolenta, o produzione di certificazione medica falsa;
  2. Assenza ingiustificata.Da luogo al licenziamento allorquando assommi anche in maniera non continuativa un numero di giorni superiori a 3 nell’arco di un biennioo superiore a 7 nell’ambito degli ultimi 10 anni, o comunque di fronte alla mancata ripresa del servizio di fronte ad assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione.
  3. Ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio.
  4. Falsità documentali commesse per instaurare il rapporto di lavoro o per ottenere progressioni di carriera.
  5. Condotte gravemente moleste, aggressive, o ingiuriose. Debbono essere reiterate e lesive di diritti primari altrui.
  6. Condanna penale definitiva. La condanna deve comportare l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione comunque denominata del rapporto di lavoro.
  7. Reiterata violazione dei codici di comportamento. Questa ipotesi è stata introdotta con il DLGS 75/2017 (Riforma Madia). Trattasi in realtà di una fattispecie innovativa e molto ampia che sicuramente in caso di applicazione dovrà passare attraverso una valutazione giudiziale di gravità.
  8. Commissione dolosa o gravemente colposa di infrazioni che abbiano causato condanna dell’Amministrazione del danno. Anche questa ipotesi è stata introdotta dalla riforma Madia DLGS 75/2017.
  9. Reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa. Trattasi di gravi violazione che debbono aver comportato la sospensione dal servizio per un periodo complessivo superiore all’anno in un biennio. Anche questa ipotesi è stata introdotta dal DLGS 75/2017 Riforma Madia.
  10. Insufficiente Rendimento. Esso deve essere collegato alla reiterata violazione di obblighi lavorativi ed accompagnato da una costante valutazione negativa del dipendente per ciascun anno in un triennio. Assistiamo all’introduzione di una fattispecie di licenziamento per scarso rendimento sconosciuta anche all’impiego privato. La norma è stata aggiunta dal DLGS 75/2017 (Riforma Madia).
  • I cosiddetti “Furbetti del Cartellino” .

E’ questo uno degli aspetti salienti della normativa volta ad arginare e reprimere fenomeni di diffuso malcostume tra i dipendenti della pubblica amministrazione.

L’esasperazione per i ripetuti episodi di false timbrature di presenza e l’eco mediatico che gli stessi ebbero, indussero il legislatore, sempre nell’ambito della Riforma Madia, legge delega 124/2015 ad introdurre il DLGS 20 giugno 2016 n.116, che prevede una procedura repressiva rapida dei fenomeni lamentati.

  • L’obbligo di sospensione immediata.

Stabilisce la nuova norma che allorquando l’Amministrazione verifichi la fragranza della falsa attestazione della presenza in servizio anche mediante strumenti tecnologici di sorveglianza, scatta l’obbligo di sospensione immediata del dipendente incolpato. Contestuale deve quindi avvenire la contestazione scritta dell’addebito con conclusione del procedimento.

  • Obblighi accessori di natura penale.

Scatta inoltre contestualmente la denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ed a quella presso la Corte dei Conti.

I dirigenti o i responsabili di servizio che non abbiano proceduto in tal modo sono passibili di licenziamento.

E quindi inserita sempre in tema di falsificazioni da parte del pubblico dipendente una norma avente prevalente rilevanza penale, ma connessa all’impianto disciplinare.

Anche quest’articolo è entrato in vigore con la riforma Madia in data 22.6.2017, è prevista la reclusione sino a 5 anni oltre la multa da euro 400 ad euro 1600 per il lavoratore che attesta falsamente la presenza in servizio o produce certificati medici falsi, è previsto il licenziamento per il medico lavoratore dipendente o convenzionato da struttura pubblica o privata che ha concorso alla falsificazione.

Sintesi applicativa.

Quando la Pubblica Amministrazione può licenziare?

  1. In tutti i casi in cui viene meno irrimediabilmente il rapporto fiduciario;
  2. In tutti i casi di licenziamento previsti dal contratto collettivo di comparto;
  3. Nei casi espressamente previsti dalla legge DLGS 165/2001 come ipotesi di licenziamento (articolo 55 quater DLGS 165/2001); –
  4. La procedura da applicare: si applica la procedura disciplinare – una procedura accelerata e privilegiata è prevista nel caso di falso nelle timbrature di presenza rilevate in flagranza;
  • Ipotesi di licenziamento per ragioni oggettive.
  1. Il licenziamento per scarso rendimento. Abbiamo già visto come tra le ipotesi di licenziamento previste dal DLGS 165/2001, articolo 55 quater si annoveri anche quella dell’insufficiente rendimento.
  2. In realtà siamo in ambito disciplinare. Si tratta comunque di un ipotesi di natura disciplinare che integra una giusta causa di risoluzione del rapporto. Si tratta di un provvedimento che, come abbiamo visto, accede ad un triennio di valutazioni negative.
  3. La natura parzialmente disciplinare dell’articolo 55 sexies. L’articolo 55 sexies ci propone invece una fattispecie, dove si prescinde da una valutazione di responsabilità, ma si constata esclusivamente l’inefficienza o l’incompetenza professionale.
  4. In tale caso, opera l’istituto della disponibilitàIn tal caso, sulla base di quanto previsto dagli articoli 33, 34, 34 bis, del DLGS 165/2001, il dipendente viene gestito come esubero. Egli riceverà l’80% della retribuzione per un periodo di 24 mesi/48 nel caso in cui entro i 48 mesi, egli maturi la pensione.  Permangono le garanzie del procedimento disciplinare. Opportunamente, vista la natura peculiare del provvedimento, l’articolo 55 sexies precisa come il dipendente in tal caso possa essere collocato in disponibilità solo all’esito di un procedimento disciplinare.
  5. Collocazione in disponibilità o nuova qualifica. Ammessa la dequalificazione. Sarà quindi il provvedimento disciplinare che dovrà indicare la collocazione in disponibilità del dipendente oppure potrà indicare un nuovo collocamento con nuova qualificaSe ne deduce che il dipendente inefficiente potrà anche essere legalmente dequalificato in sede disciplinare.
  • Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel pubblico impiego.

Ci si chiede a questo punto se e come il pubblico dipendente possa essere licenziato per soppressione del posto di lavoro o per riduzione del personale.

Qui la situazione è molto diversa rispetto al lavoro alle dipendenze dei privati.

Per molti versi la previsione contenuta all’articolo 33 del DLGS 165/2001 ricalca la procedura prevista per i licenziamenti collettivi delle aziende. Non esiste invece nel pubblico impiego norma alcuna che riguardi i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.

a. Il perché è intuibile. Date le dimensioni delle pubbliche amministrazioni è del tutto impossibile che un singolo dipendente non riesca ad essere ricollocato.

Dunque il problema si pone esclusivamente di fronte al verificarsi di situazioni di soprannumero o di eccedenza di personale.

b.La procedura di cui all’articolo 33 del DLGS 165/2001.

c. La comunicazione alle Organizzazioni Sindacali.

L’articolo 33 del DLGS 165/2001 prevede che l’Amministrazione debba darne comunicazione al Dipartimento della Funzione Pubblica. Quindi deve essere fornita idonea informativa alle Rappresentanze Sindacali Unitarie del Personale ed alle Organizzazioni Sindacali firmatarie del contratto nazionale.

d. l tentativo di ricollocazione.

Trascorsi 10 giorni dalla comunicazione, l’Amministrazione tenterà la ricollocazione del personale eccedente.

e. La collocazione in disponibilità.

Se ciò non riesce entro 90 giorni, il personale interessato è collocato in disponibilità per la durata massima di 24 mesi.

  • Il licenziamento per inidoneità psicofisica.

Similmente a quanto accade per il rapporto di lavoro nelle aziende privata, anche la Pubblica Amministrazione può procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro per impossibilità alla prestazione.

L’ipotesi è prevista dall’articolo 55 octies del DLGS 165/2001.

E’ previsto che nel caso di permanente inidoneità psicofisica al servizio, l’amministrazione possa risolvere il rapporto con le modalità nei termini disposti con apposito regolamento. 

  • Il licenziamento illegittimo – le conseguenze e le forme di tutela.

Abbiamo constatato come in linea di principio le regole del lavoro pubblico vadano ad ispirarsi ai principi comuni del diritto del lavoro con le eccezioni e le specificità che abbiamo appena esaminato.

Particolare attenzione andrà rivolta alle regole sulla tutela del rapporto di lavoro, non tanto sulle ipotesi di licenziamento che ormai il DLGS 165/2001 provvede ampiamente a regolare quanto piuttosto in punto tutela ex articolo 18 legge 300/70 e quindi in merito alle ipotesi di reintegra e risarcimento ivi contemplate.

Il tema diventa ancora più delicato ove si pensi ai recenti e continui rimaneggiamenti che questo istituto a subito in maniera peraltro rilevante e dove non sempre si è verificato un automatico parallelismo tra la disciplina dell’impiego nel settore pubblico e quella nel settore privato.

  • Nei casi di illegittimità del licenziamento quali saranno le conseguenze per la pubblica amministrazione? O meglio, cosa succede se il licenziamento risulterà illegittimo o nullo?

a. Licenziamento discriminatorio.

Se il licenziamento risulterà discriminatorio e quindi dettato da ragioni religiose, razziali, di sesso, manifestazione di pensiero, affiliazione sindacale, esso sarà considerato nullo, è darà luogo alla reintegra del dipendente licenziato con il pagamento di tutte le retribuzioni maturate.

La prova della dimostrazione della sussistenza della discriminazione e dall’essere stata essa la causa prevalente del licenziamento è posta a carico del lavoratore, ma sono ammesse anche le presunzioni ( indizi logici e concatenati che possono sostituire il mezzo di prova).

b. Insussistenza della giusta causa.

La più comune causa di licenziamento, è dovuta all’insussistenza di una giusta causa, tale da comportare il venir meno del rapporto fiduciario che lega il dipendente all’amministrazione.

Cosa accade nel caso di licenziamento privo di giusta causa – quali sono le sanzioni per l’amministrazione soccombente?

  • I dubbi circa l’applicazione o meno dell’articolo 18 nuovo testo (Fornero) ai dipendenti pubblici.

a. Le incertezze di dottrina e giurisprudenza.

Ci si chiedeva se si applicava l’articolo 18 della legge 300/70 e quindi l’istituto della reintegra e del risarcimento del danno dal licenziamento alla reintegra. La risposta in linea di massima era positiva con le precisazioni che poi seguiranno.

Si parte dall’articolo 51 del DLGS 165/2001 che statuiva la piena applicabilità dello Statuto dei Lavoratori nell’ambito del pubblico impiego e quindi anche dell’articolo 18 dello statuto medesimo.

Dunque tutti i dipendenti pubblici, compresi i dirigenti, erano da considerarsi reintegrabili nel caso di licenziamento privo di giusta causa.

La questione si complicava allorquando entrava in vigore la legge 92/2014, c.d. legge Fornero, che modificava l’articolo 18, riducendo le tutele e limitando i casi di reintegra ad ipotesi ben limitate.

A quel punto, molti si chiesero se il nuovo testo dell’articolo 18, doveva applicarsi anche alle pubbliche amministrazioni o se invece al pubblico dipendente, licenziato ingiustamente, spettasse sempre la reintegra ed il risarcimento del danno pari alle mensilità cui avrebbe avuto diritto sino alla data della reintegra e quindi il regime antecedente alla riforma Fornero.

La legge 92/2012 (Legge Fornero)  a proposito della sua applicabilità al pubblico impiego stabilisce all’articolo 1 commi 7 e 8 che le disposizioni della riforma per quanto non espressamente previsto, dovevano considerarsi principi generali applicabili anche ai pubblici dipendenti . La legge medesima però stabiliva per la sua applicazione al settore pubblico un decreto di raccordo che sarebbe dovuto intervenire da parte del Ministro per la Pubblica Amministrazione.

In merito all’applicazione dell’articolo 18 in caso di licenziamento illegittimo, erano formulate due soluzioni.

La prima prevedeva che l’automatico richiamo all’articolo 18, operato dall’articolo 51 DLGS 165/2001 ne comportava l’applicazione al pubblico impiego nella forma modificata dalla legge 92/2014 con il relativo rito processuale della legge Fornero.

L’altra soluzione invece notava come i commi 7 e 8 dell’articolo 1 della legge 92/2012, imponevano una applicazione mediata della riforma per cui al pubblico impiego si doveva ancora applicare il vecchio testo dell’articolo 18, con la piena reintegra ed il pieno risarcimento del soggetto illegittimamente licenziato.

Sul punto, intervenivano le prime pronunce della magistratura nel seguente ordine:

  • Tribunale di Perugia , ordinanza del 15 gennaio 2013 che ritiene applicabile il nuovo rito introdotto dalla legge 92/2012 anche ai dipendenti pubblici in caso di licenziamento come pure il nuovo articolo 18 legge 300/70 a “tutela ridotta”.
  • Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione lavoro, ordinanza del 2 aprile 2013 , conforme nel senso di ritenere applicabile sia il nuovo rito che il nuovo articolo 18 .
  • Con la pronuncia n.24157 del 25.11.2015 la Corte di Cassazione ha stabilito che l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, così come modificato dalla legge Fornero, si applica anche ai dipendenti pubblici.
  • Di seguito sempre la Suprema Corte – Cassazione 9.6.2016 n.11868 – ha ritenuto applicabile integralmente l’articolo 18 ai pubblici dipendenti, anziché come novellato dalla legge Fornero.

b. Finalmente le certezze del decreto Madia. Ai pubblici dipendenti si applica il vecchio testo dell’articolo 18 legge 300/70.

Con l’entrata in vigore del DLGS 75/2017 (decreto Madia), la situazione si è definitivamente chiarita.

L’articolo 21 del DLGS 75/2015 ha infatti apportato delle modifiche al comma 2 dell’articolo 63 del DLGS 165/2001 chiarendo che Il giudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, condanna l’amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.”.

Dunque a questo punto, il testo unico sul pubblico impiego contiene una specifica norma di applicazione nel caso di licenziamento illegittimo. Resta naturalmente la sanzione della nullità per il licenziamento discriminatorio e ritorsivo.

SENTENZA – Annullamento di licenziamento.

Pubblichiamo la sentenza integrale emessa dal Tribunale di Vibo Valentia a favore di un’assistita dello Studio che ha portato all’annullamento del licenziamento subito ed alla condanna della Regione Calabria alla riammissione della ricorrente nell’organico.

Tribunale di Vibo Valentia – Settore Lavoro e Previdenza – Sent. 379.2020