Le stabilizzazioni nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale sono possibili sino al 31.12.2024

Le regole generali per la stabilizzazione

Le stabilizzazioni nell’ambito del Pubblico Impiego trovano fondamento nell’articolo 20 del DLGS 75/2017 che così dispone:

“1. Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, fino al 31 dicembre 2023, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:

  1. a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati;
  2. b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
  3. c) abbia maturato, al 31 dicembre 2022, alle dipendenze dell’amministrazione di cui alla lettera a) che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
  4. Fino al 31 dicembre 2024, le amministrazioni possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e ferma restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti: 
  5. a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;
  6. b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2024, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso.

2-bis. Anche per le finalità connesse alla stabilizzazione delle ricerche collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), le disposizioni dei commi 1 e 2, con riferimento agli enti pubblici di ricerca di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218, sono prorogate fino al 31 dicembre 2026.

  1. Ferme restando le norme di contenimento della spesa di personale, le pubbliche amministrazioni, fino al 31 dicembre 2022, ai soli fini di cui ai commi 1 e 2, possono elevare gli ordinari limiti finanziari per le assunzioni a tempo indeterminato previsti dalle norme vigenti, al netto delle risorse destinate alle assunzioni a tempo indeterminato per reclutamento tramite concorso pubblico, utilizzando a tal fine le risorse previste per i contratti di lavoro flessibile, nei limiti di spesa di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 20 luglio 2010, n. 122, calcolate in misura corrispondente al loro ammontare medio nel triennio 2015-2017 a condizione che le medesime amministrazioni siano in grado di sostenere a regime la relativa spesa di personale previa certificazione della sussistenza delle correlate risorse finanziarie da parte dell’organo di controllo interno di cui all’articolo 40-bis, comma 1, e che prevedano nei propri bilanci la contestuale e definitiva riduzione di tale valore di spesa utilizzato per le assunzioni a tempo indeterminato dal tetto di cui al predetto articolo 9, comma 28. 
  2. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non possono essere applicate dai comuni che per l’intero quinquennio 2012-2016 non hanno rispettato i vincoli di finanza pubblica. Le regioni a statuto speciale, nonché gli enti territoriali ricompresi nel territorio delle stesse, possono applicare il comma 1, elevando ulteriormente i limiti finanziari per le assunzioni a tempo indeterminato ivi previsti, anche mediante l’utilizzo delle risorse, appositamente individuate con legge regionale dalle medesime regioni che assicurano la compatibilità dell’intervento con il raggiungimento dei propri obiettivi di finanza pubblica, derivanti da misure di revisione e razionalizzazione della spesa certificate dagli organi di controllo interno. Ai fini del rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 557e 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, gli enti territoriali delle predette regioni a statuto speciale, calcolano inoltre la propria spesa di personale al netto dell’eventuale cofinanziamento erogato dalle regioni ai sensi del periodo precedente. I predetti enti possono prorogare i rapporti di lavoro a tempo determinato fino al 31 dicembre 2018, nei limiti delle risorse utilizzabili per le assunzioni a tempo indeterminato, secondo quanto previsto dal presente articolo. Per gli stessi enti, che si trovino nelle condizioni di cui all’articolo 259 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la proroga di cui al quarto periodo del presente comma è subordinata all’assunzione integrale degli oneri a carico della regione ai sensi del comma 10 del citato articolo 259.
  3. Fino al termine delle procedure di cui ai commi 1 e 2, è fatto divieto alle amministrazioni interessate di instaurare ulteriori rapporti di lavoro flessibile di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, per le professionalità interessate dalle predette procedure. Il comma 9-bis dell’articolo 4del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, è abrogato.
  4. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 1, commi 425426 della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
  5. Ai fini del presente articolo non rileva il servizio prestato negli uffici di diretta collaborazione di cui all’articolo 14del decreto legislativo n. 165 del 2001 o degli organi politici delle regioni, secondo i rispettivi ordinamenti, né quello prestato in virtù di contratti di cui agli articoli 90 e 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
  6. Le amministrazioni possono prorogare i corrispondenti rapporti di lavoro flessibile con i soggetti che partecipano alle procedure di cui ai commi 1 e 2, fino alla loro conclusione, nei limiti delle risorse disponibili ai sensi dell’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
  7. Il presente articolo non si applica al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) presso le istituzioni scolastiche ed educative statali. Fino all’adozione del regolamento di cui all’articolo 2, comma 7, lettera e), della legge 21 dicembre 1999, n. 508, le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle Istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica. I commi 5 e 6 del presente articolo non si applicano agli enti pubblici di ricerca di cui al decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218. Per i predetti enti pubblici di ricerca il comma 2 si applica anche ai titolari di assegni di ricerca in possesso dei requisiti ivi previsti. Il presente articolo non si applica altresì ai contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni. 
  8. Per il personale dirigenziale e non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 543, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, la cui efficacia è prorogata al 31 dicembre 2019 per l’indizione delle procedure concorsuali straordinarie, al 31 dicembre 2020 per la loro conclusione, e al 31 ottobre 2018 per la stipula di nuovi contratti di lavoro flessibile ai sensi dell’articolo 1, comma 542, della legge 28 dicembre 2015, n. 208
  9. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano al personale, dirigenziale e no, di cui al comma 10, nonché al personale delle amministrazioni finanziate dal Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca, anche ove lo stesso abbia maturato il periodo di tre anni di lavoro negli ultimi otto anni rispettivamente presso diverse amministrazioni del Servizio sanitario nazionale o presso diversi enti e istituzioni di ricerca. 7

11-bis. Allo scopo di fronteggiare la grave carenza di personale e superare il precariato, nonché per garantire la continuità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, per il personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, dirigenziale e no, del Servizio sanitario nazionale, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano fino al 31 dicembre 2022. Ai fini del presente comma il termine per il conseguimento dei requisiti di cui al comma 1, lettera c), e al comma 2, lettera b), è stabilito alla data del 31 dicembre 2022, fatta salva l’anzianità di servizio già maturata sulla base delle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.

  1. 12. Ai fini delle assunzioni di cui al comma 1, ha priorità il personale in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto.
  2. In caso di processi di riordino, soppressione o trasformazione di enti, con conseguente transito di personale, ai fini del possesso del requisito di cui ai commi 1, lettera c), e 2, lettera b), si considera anche il periodo maturato presso l’amministrazione di provenienza.
  3. Le assunzioni a tempo indeterminato disciplinate dall’articolo 1, commi 209211212, della legge 27 dicembre 2013, n. 147sono consentite anche nel triennio 2018-2020. Per le finalità di cui al presente comma le amministrazioni interessate possono utilizzare, altresì, le risorse di cui ai commi 3 e 4 o previste da leggi regionali, nel rispetto delle modalità, dei limiti e dei criteri previsti nei commi citati. Ai fini delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 557 e 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, gli enti territoriali calcolano la propria spesa di personale al netto dell’eventuale cofinanziamento erogato dallo Stato e dalle regioni. Le amministrazioni interessate possono applicare la proroga degli eventuali contratti a tempo determinato secondo le modalità previste dall’ultimo periodo del comma 4”.

Trattasi quindi di procedure agevolate di assunzione riservate a chi abbia lavorato per almeno un triennio anche non continuativo anche non continuativo nell’ambito degli ultimi otto anni con contratto a termine ed in questo caso l’ammissione in servizio è diretta, oppure abbia lavorato con altro contratto flessibile di almeno tre anni anche non continuativi negli ultimi otto. In questo caso l’assunzione avviene invece tramite concorso con la riserva del 50% dei posti.

Il settore della sanità dopo il COVID-19

Per quanto riguarda il settore della sanità, la previsione di legge attuale è data, anche in riferimento all’emergenza da COVID-19, dalla legge di bilancio 30.12.2021 n.234, articolo 1, comma 268.

Vi si legge:

“Al fine di rafforzare strutturalmente i servizi sanitari regionali anche per il recupero delle liste d’attesa e di consentire la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale che ha prestato servizio anche durante l’emergenza da COVID-19, gli enti del Servizio sanitario nazionale, nei limiti di spesa consentiti per il personale degli enti medesimi dall’articolo 11, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2019, n. 60, come modificato dal comma 269 del presente articolo:

  1. a) verificata l’impossibilità di utilizzare personale già in servizio, nonché di ricorrere agli idonei collocati in graduatorie concorsuali in vigore, possono avvalersi, anche per gli anni 2022 e 2023, delle misure previste dagli articoli 2-bis, limitatamente ai medici specializzandi di cui al comma 1, lettera a), del medesimo articolo, e 2-ter, commi 1 e 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, anche mediante proroga, non oltre il 31 dicembre 2023, degli incarichi conferiti ai sensi delle medesime disposizioni;58
  2. b) ferma restando l’applicazione dell’articolo 20 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, dal 1° luglio 2022 e fino al 31 dicembre 2024 possono assumere a tempo indeterminato, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale, il personale del ruolo sanitario e del ruolo sociosanitario, anche qualora non più in servizio, che siano stati reclutati a tempo determinato con procedure concorsuali, ivi incluse le selezioni di cui all’articolo 2-ter del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e che abbiano maturato al 31 dicembre 2023 alle dipendenze di un ente del Servizio sanitario nazionale almeno diciotto mesi di servizio, anche non continuativi, di cui almeno sei mesi nel periodo intercorrente tra il 31 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2022, secondo criteri di priorità definiti da ciascuna regione. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto mediante procedure diverse da quelle sopra indicate si provvede previo espletamento di prove selettive;5759
  3. c) possono, anche al fine di reinternalizzare i servizi appaltati ed evitare differenze retributive a parità di prestazioni lavorative, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale, avviare procedure selettive per il reclutamento del personale da impiegare per l’assolvimento delle funzioni reinternalizzate, prevedendo la valorizzazione, anche attraverso una riserva di posti non superiore al 50 per cento di quelli disponibili, del personale impiegato in mansioni sanitarie e socio-sanitarie corrispondenti nelle attività dei servizi esternalizzati che abbia garantito assistenza ai pazienti in tutto il periodo compreso tra il 31 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2021 e con almeno tre anni di servizio”.

Si tratta nel caso di specie di ipotesi specifica subordinata ai requisiti di cui sopra cui si aggiunge il requisito, nell’ambito dei 18 mesi, di almeno sei mesi di servizio svolto tra il 31 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2022.

Oltre alle ipotesi di precariato svolto mediante contratti a termine, si consente l’assunzione per il tramite di concorso per coloro che abbiano lavorato con altri contratti flessibili.

Possono inoltre essere avviati appositi concorsi per riassorbire nella misura del 50% coloro che abbiano lavorato nell’ambito di servizi appaltati dalla sanità pubblica a soggetti esterni.

La regolamentazione ad hoc – Conferenza Stato Regioni

Trattandosi di rapporti di lavoro nell’ambito delle Aziende Sanitarie che fanno capo alle Regioni, la materia oltre che ad essere disciplinata dalla normativa nazionale in tema di pubblico impiego, trova le proprie regole di dettaglio nel documento emesso in data 10.5.2023 dalla Conferenza Stato Regioni in merito all’applicazione della disciplina in materia di stabilizzazione del personale del Servizio Sanitario Nazionale.

Il documento prevede la possibilità di assumere direttamente o previo esperimento di prova selettiva o utilizzando graduatorie di contratti a termine.

Ciò significa che chi ha maturato i 18 mesi nell’ambito di contratti a termine, potrà accedere direttamente all’impiego per il tramite della stabilizzazione.

Diversamente chi ha operato con contratto di lavoro autonomo o con altre forme di lavoro flessibile dovrà partecipare ad una procedura concorsuale.

Non può essere destinatario della stabilizzazione chi ha lavorato con contratto di somministrazione (tramite agenzia).

Resta sempre applicabile l’articolo 35 del DLGS 165/2001 che impone il limite delle assunzioni per gli enti pubblici dall’esterno nella misura del 50% delle risorse complessivamente programmate per l’assunzione di personale in conformità al piano triennale dei fabbisogni inserito nel PIAO (documento di programmazione delle assunzioni).

In concreto, chi desidera fruire delle stabilizzazioni deve verificare:

  1. calcolare il periodo di lavoro svolto con contratto precario;
  2. verificare la tipologia di rapporto: deve essere contratto a termine o altra forma di precariato, no somministrazione;
  3. verificare presso l’amministrazione di destinazione se hanno in programma assunzioni per il tramite della stabilizzazione;
  4. se assunti già a termine – possibilità di assunzione diretta
  5. se altre forme di precariato, necessita il concorso.

avv. Fabio Petracci

Licenziamento dell’assistente odontoiatrico per mancato aggiornamento periodico

Un caso aperto in tema di formazione professionale nelle professioni sanitarie.

Sabato 13 maggio a Milano si è tenuto a Milano al Pirellone, il convegno di SIASO – CIU UNIONQUADRI , Sindacato Italiano Assistenti Odontoiatrici.

L’avvocato Fabio Petracci per conto del Centro Studi di CIU Unionquadri ha trattato il tema relativo all’aggiornamento professionale della categoria.

Il DPCM 9 marzo 2022 individua il profilo professionale della categoria ed affida all’iniziativa delle regioni l’aggiornamento periodico della stessa.

Si sono verificati casi dove gli iscritti non hanno adempiuto tempestivamente a questo adempimento e l’associazione si vede costretta a fornire dei corsi integrativi con le conseguenti difficoltà legali.

Con l’entrata in vigore del DPCM 9 marzo 2022 è  recepito l’accordo sancito tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in data 7 ottobre 2021, concernente l’individuazione del profilo professionale dell’assistente di studio odontoiatrico, quale operatore d’interesse sanitario.

L’accordo definisce in maniera compiuta la figura professionale dell’assistente di studio odontoiatrico (articolo 1 dell’accordo) come figura di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2 legge 1 febbraio 2006 n.43.

Il successivo articolo 2 si occupa invece della formazione e dell’aggiornamento della categoria.

La formazione in base a tale norma è di competenza delle Regioni .

Il comma 3 stabilisce poi che coloro che abbiano ricevuto la formazione e la qualifica debbano frequentare degli eventi formativi di aggiornamento della durata di almeno dieci ore all’anno.

E’ inoltre stabilito che obbligo di aggiornamento annuale decorre dall’anno successivo a quello della data di acquisizione della qualifica/certificazione e deve essere concluso entro l’anno medesimo.

Si trascrive la parte di interesse del predetto accordo recepito in DPR

“   art. 2. Art. 2. La formazione 1. La formazione dell’assistente di studio odontoiatrico è di competenza delle regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano che, nel rispetto delle disposizioni del presente Accordo, procedono alla programmazione dei corsi di formazione e autorizzano le aziende del servizio sanitario regionale e/o gli enti di formazione accreditati per la realizzazione degli stessi, valorizzando le precedenti esperienze istituzionali e associative già esistenti.

  1. È consentito l’utilizzo della formazione a distanza FAD nella misura massima del 30 % delle lezioni frontali, salvo situazioni emergenziali sanitarie che possono richiedere una maggiore percentuale, conformemente a quanto stabilito nelle «Linee guida per l’utilizzo della modalità Fad/elearning nei percorsi formativi di accesso alle professioni regolamentate la cui formazione è in capo alle regioni e province autonome», approvate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nella seduta del 25 luglio 2019. 3. Coloro che conseguono l’attestato di qualifica/certificazione ai sensi dell’art. 10 e 12 e i lavoratori esentati di cui all’art. 11, sono obbligati a frequentare degli eventi formativi di aggiornamento della durata di almeno dieci ore all’anno.
  2. L’obbligo di aggiornamento annuale decorre dall’anno successivo a quello della data di acquisizione della qualifica/certificazione e deve essere concluso entro l’anno medesimo.
  3. Nei casi di cui all’art. 11, la prima annualità di aggiornamento deve concludersi entro dodici mesi dall’entrata in vigore del presente Accordo.
  4. Fermo restando che la durata della formazione non può essere superiore a dodici mesi, la qualifica di assistente di studio odontoiatrico potrà essere acquisita anche tramite l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale ai sensi dell’art. 43 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.

Risulterebbe che alcuni assistenti di studio odontoiatrico non abbiano puntualmente adempiuto agli obblighi di aggiornamento e quindi essendo questi infra – annuali non abbiano allo stato possibilità di adempiervi.

Quindi viene richiesto se un aggiornamento postumo potrebbe ovviare a questo inconveniente.

Formulo di seguito alcune considerazioni nel ricercare una soluzione che non comporti la decadenza dal titolo professionale se non addirittura l’esercizio abusivo della professione con il conseguente licenziamento.

Noto in primo luogo come il comma 2 dell’articolo 1 dell’accordo Governo Regioni definisce come assistente di studio odontoiatrico l’operatore in possesso dell’attestato conseguito a seguito della frequenza di specifico corso di formazione.

Quindi, l’elemento abilitante è dato dall’apposito attestato di formazione.

Non è menzionato il requisito dell’aggiornamento professionale che sicuramente assume importanza, ma non valenza costitutiva.

Ciò significa che il mancato aggiornamento ove non prolungato non può comportare la perdita dell’abilitazione, semmai potrebbe comportare ove esistente un ordine, collegio o associazione all’irrogazione di sanzioni e corsi di recupero e ove presente come ritengo un professionista datore di lavoro, l’irrogazione di una sanzione disciplinare conservativa.

La norma istitutiva non prevede una specifica sanzione per il mancato aggiornamento.

Vi è contestualmente un altro aspetto che porta a ritenere l’attuale normativa in tema di aggiornamento professionale obbligatorio come inadeguata e non conforme all’ordinamento nazionale.

Con il DPCM 9 marzo 2022, è stata modificata la precedente normativa DPCM del 9 febbraio 2018 che disciplinava la figura professionale dell’assistente di studio odontoiatrico quale operatore sanitario in base all’articolo 1 della legge n.43 del 2006 e la disciplina della relativa formazione.

Mediante l’allegato accordo Stato Regioni, è confermata la competenza delle Regioni sia nell’individuazione dei profili nei limiti di cui all’articolo 1 del DPR, sia nell’aggiornamento professionale obbligatorio, come previsto dall’articolo 2 del medesimo accordo.

Quivi si legge come la formazione dell’assistente odontoiatrico sia di competenza delle regioni le quali procedono alla programmazione dei corsi di formazione e autorizzano le aziende del servizio sanitario regionale e/o gli enti di formazione accreditati per la realizzazione degli stessi, valorizzando le precedenti esperienze istituzionali e associative già esistenti.

Essa non prevede neppure l’indicazione tassativa dei soggetti che debbono fornire l’aggiornamento.

Su tale base ritengo che sia onere e facoltà delle associazioni professionali di organizzare dei corsi di recupero possibilmente sotto l’egida di fondi interprofessionali o accordi di categoria oppure con riconoscimento di organi pubblici che sovrintendano alla formazione.

Qualora poi l’aggiornamento e l’impegno al recupero fossero inseriti nella contrattazione collettiva di categoria, trattandosi di lavoratori dipendenti, l’inserimento potrebbe essere efficace per la tutela da indesiderabili sorprese.

Fabio Petracci

CASSAZIONE – Medici di base – Illegittime le misure unilaterali di contenimento dei compensi contrattati.

Cass. civ., Sez. VI – Lavoro, Ord., 30/09/2022, n. 28526

Sintesi della controversia.

La Corte d’appello di L’Aquila, adita dall’Azienda Sanitaria Locale Avezzano Sulmona l’Aquila e nel contraddittorio con A.A., medico di medicina generale operante in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l’opposizione della ASL avverso il decreto monitorio con il quale le era stato ingiunto il pagamento nella misura intera dei corrispettivi previsti dall’Accordo Integrativo Regionale per la medicina generale approvato con Delib. Giunta Regionale 9 agosto 2006, n. 916, in relazione alle voci “Nuclei di Cure Primarie – in rete; Nuclei di Cure Primarie – in gruppo; Personale addetto al NCP di gruppo; Assistenza Domiciliare Integrata”, il cui importo unitario mensile per assistito era stato ridotto unilateralmente dall’ASL a fronte di prestazioni rimaste invariate;

la Corte territoriale ha rilevato, in sintesi, che le esigenze di contenimento della spesa sanitaria, pur legittime, non autorizzavano la modifica unilaterale degli impegni assunti in sede di contrattazione collettiva, tanto più che l’intervento unilaterale aveva riguardato il solo corrispettivo mentre era rimasta immutata, quanto ad impegno qualitativo e quantitativo, la prestazione richiesta al medico convenzionato;

ha precisato che la Delib. G.R. Abruzzo n. 592 del 2008, nel fissare alle ASL i tetti di spesa, aveva dettato le linee guida alle quali le aziende avrebbero dovuto attenersi specificando che la riduzione doveva essere attuata attraverso la riapertura dei tavoli di concertazione e ciò in attuazione di un principio generale quale è quello della vincolatività dei contratti collettivi;

Anche il decreto del Commissario ad acta n. 27 del 2011 aveva escluso che le ASL potessero unilateralmente modificare i contenuti normativi ed economici degli MR, tanto più che occorreva evitare che si producessero di Spa rità di trattamento in ambito regionale per le medesime prestazioni ed indennità.

Sintesi dei motivi di ricorso.

L’ASL ricorrente sostiene che le delibere del D.G. dell’ASL e quelle del Commissario ad acta hanno natura autoritativa ed inderogabile e sono state adottate sulla base delle disposizioni richiamate in rubrica che hanno imposto alle Regioni di perseguire l’obiettivo del contenimento della complessiva spesa sanitaria e dell’equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza;

Cosa ha detto la Cassazione?

il ricorso è infondato perchè la sentenza impugnata ha deciso la controversia in conformità ai principi di diritto recentemente enunciati da Cass. n. 11566/2021, Cass. n. 19327/2021, Cass. n. 22440/2021, Cass. n. 27782/2021 e da altre pronunce conformi, che hanno respinto analoghi ricorsi proposti dalle Aziende Sanitarie della Regione Abruzzo avverso le pronunce della Corte d’Appello di L’Aquila con le quali, sulla base delle medesime argomentazioni espresse nella pronuncia qui impugnata, era stata ritenuta illegittima la riduzione unilaterale dei compensi previsti dalla contrattazione, nazionale e integrativa regionale, seppure finalizzata al rispetto dei tetti di spesa imposti dal Piano di rientro;

con le richiamate pronunce, si è affermato che:

a) il rapporto convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali e integrativi ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali;

b) la disciplina dettata dalla  n. 833 del 1978art. 48e dal D.Lgs. n. 502 del 1992art. 8, non è derogata da quella speciale prevista per il rientro da eccessivi disavanzi del sistema sanitario e pertanto le esigenze di riduzione della spesa non legittimano la singola azienda sanitaria a ridurre unilateralmente i compensi previsti dalla contrattazione nazionale e da quella integrativa regionale;

c) le richiamate esigenze, sopravvenute alla valutazione di compatibilità finanziaria dei costi della contrattazione, devono essere fatte valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti di competenza dei diversi livelli di contrattazione;

d) l’atto unilaterale di riduzione del compenso non ha natura autoritativa perchè il rapporto convenzionale si svolge su un piano di parità ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi propri che regolano l’esercizio dell’autonomia privata;

L’anzianità professionale nell’ambito del settore sanitario.

Spesso la contrattazione collettiva subordina l’attribuzione di indennità o responsabilità professionali alla maturazione di determinati periodi di esperienza professionale.
Maggiore è l’incidenza di dette clausole, laddove si richiede una professionalità specifica, come nel caso della sanità pubblica.
Ci si chiede in proposito se e come le clausole contrattuali delimitino in qualche modo l’efficacia di tali forme di anzianità.
Viene in esame proprio il CCNL della Sanità Pubblica.
Ci poniamo il quesito in primo luogo se un contratto a termine in tale ambito, poi seguito da uno a tempo indeterminato possa valere come anzianità professionale.
Sul punto l’ARAN con un recente parere ha chiarito come il periodo lavorato con contratto a tempo determinato nell’ambito del comparto sanità pubblica debba essere computato a tutti gli effetti come anzianità professionale.
Lo stesso vale per i periodi lavorati presso altri datori di lavoro, ma sempre nell’ambito del Comparto Sanità Pubblica.
Lo stesso discorso non vale invece per periodi maturati nel settore sanitario, ma con applicazione di CCNL diverso, come ad esempio nell’ambito della Sanità Privata.
Dunque, l’unico e vero discrimine per considerare o meno i periodi professionali pregressi, è dato dal settore contrattuale di inquadramento.

Avvocato Fabio Petracci.

Con il decreto di marzo entra in vigore l’obbligo (onere) di vaccinazione per i sanitari.

L’articolo 4 del Decreto Aprile 2021 giunge al termine di un vivace dibattito in merito all’obbligatorietà del vaccino anti COVID per coloro che esercitano una professione sanitaria di contatto con l’utenza.

Ricordiamo come fosse stata riscontrata la contrapposizione tra coloro che proponevano il licenziamento di quei sanitari che non volessero sottoporsi al vaccino e dall’altra parte coloro che ritenevano non sussistere obbligo alcuno in forza del disposto dell’articolo 32 della Costituzione che escludeva l’esistenza dell’obbligo di trattamento sanitario in assenza di norma di legge che lo autorizasse.

Nel corso delle discussioni, era emersa una via mediana che, a prescindere dall’obbligatorietà del trattamento vaccinale , lo considerava un requisito fondamentale per rendere la prestazione in ambito sanitario; quindi una condizione per poter lavorare in quel settore.

Ne derivava, secondo questa opinione, che il dipendente che non risultava per qualsiasi causa, non vaccinato era inidoneo alla prestazione e poteva di conseguenza essere sospeso.

L’avvio della campagna vaccinale con i relativi intoppi che si sono verificati e l’attenzione dedicatavi dai Media, ha imposto al Governo l’avvio di misure più rigorose.

Con l’articolo 4 del Decreto Aprile 2021 è imposto per il personale sanitario che opera a contatto con i pazienti l’obbligo del vaccino anti COVID.

La misura assume carattere temporaneo finalizzata al completamento del piano di vaccinazione e comunque con termine al 31 dicembre 2021ed è rivolta agli esercenti le professioni sanitarie ed agli operatori di interesse sanitario operanti nelle strutture sanitarie, socio sanitarie, socio assistenziali, pubbliche e private, farmacie e parafarmacie e studi professionali.

Essa consiste nell’obbligo a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione del COVID.

E’ quindi meglio precisato che la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della prestazione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative.

La legge prevede poi un obbligo per gli ordini professionali e per i datori di lavoro di trasmettere entro cinque giorni dall’entrata in vigore del decreto, alle rispettive regioni l’elenco degli iscritti e degli operatori sanitari.

Ne segue un periodo di dieci giorni nel corso del quale, le Regioni provvederanno ad una verifica delle relative posizioni, segnalando alle ASL competenti eventuali inadempienze.

Quindi, nel caso di persistente inadempienza, le ASL provvederanno mediane apposito atto di accertamento a sospendere dal diritto a svolgere le prestazioni e le mansioni di appartenenza.

Da questo quadro sommario, possiamo trarre le seguenti considerazioni:

  1. Non è stato introdotto un obbligo generale di vaccinazione per coloro che lavorano a contatto con il pubblico, ma esclusivamente con il personale sanitario o parasanitario;
  2. L’obbligo è temporaneo;
  3. Impropriamente può parlarsi di obbligo, si tratta di un onere per chi vuole continuare a svolgere le proprie funzioni;
  4. La conseguenza del mancato adempimento non assume connotati disciplinari, ma semplicemente comprime il diritto a svolgere la propria professione e la proprie mansioni, con la conseguenza, almeno ad avviso di chi scrive, che il dipendente non vaccinato, assume il diritto ed il dovere di svolgere altre mansioni anche di carattere inferiore e solo in caso di mancato reperimento di queste ultime, il dipendente potrà non essere retribuito.

I sanitari che non si vaccinano possono essere collocati in ferie – breve commento e testo integrale dell’ordinanza del Tribunale di Belluno

L’ordinanza emessa dal Tribunale di Belluno affronta il quanto mai attuale tema concernente l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione da parte del personale sanitario.

Il caso affrontato dal Tribunale, vede il rifiuto di alcuni dipendenti operatori sanitari di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19. Il datore di lavoro li colloca pertanto forzosamente in ferie.

I dipendenti in questione si rivolgono al locale Tribunale del Lavoro chiedendo in via d’urgenza (articolo 700 CPC)  di poter continuare a svolgere le ordinarie mansioni.

Il tutto sul presupposto in base al quale i lavoratori in questione svolgevano mansioni ad alto rischio di contagio.

Va considerato come l’articolo 32 della Costituzione disponga che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

Ma a questo punto, secondo chi scrive va rimosso un equivoco.

Nel caso del vaccino di personale sanitario ad alto rischio di contagio, non si tratta di un obbligo, ma bensì di una condizione di sicurezza per poter lavorare.

L’obbligo cui allude la Costituzione è quello dotato di un’assolutezza totale per cui il soggetto deve in ogni modo, anche costretto con la forza aderire.

Nel caso di specie, si tratta esclusivamente di una condizione o meglio di un onere che incombe su chi voglia esercitare in determinate condizioni una professione sanitaria.

 

TRIBUNALE DI BELLUNO n. 12/2021 R.G.

Il Giudice sciogliendo la riserva assunta con verbale di trattazione scritta in data 16.3.21; ritenuto che risulta difettare il fumus boni iuris, disponendo l’art. 2087 c.c. che “ L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro “; ritenuto che è ormai notoria l’efficacia del vaccino per cui è causa nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus SARS -CoV-2, essendo notorio il drastico calo di decessi causati da detto virus, fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di RSA, nonché, più in generale, nei Paesi, quali Israele e gli Stati Uniti, in cui il vaccino proposto ai ricorrenti è stato somministrato a milioni di individui; rilevato che è incontestato che i ricorrenti sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro; ritenuto che è, pertanto, evidente il rischio per i ricorrenti di essere contagiati, essendo fra l’altro notorio che non è scientificamente provato che il vaccino per cui è causa prevenga, oltre alla malattia, anche l’infezione; ritenuto che la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti; che è ormai notorio che il vaccino per cui è causa – notoriamente offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale notoria scarsità per tutta la popolazione – costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia; ritenuto, quanto al periculum in mora, che l’art. 2109 c.c. dispone che il prestatore di lavoro “ Ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro “; che nel caso di specie prevale sull’eventuale interesse del prestatore di lavoro ad usufruire di un diverso periodo di ferie, l’esigenza del datore di lavoro di osservare il disposto di cui all’art. 2087 c.c.; ritenuta l’insussistenza del periculum in mora quanto alla sospensione dal lavoro senza retribuzione ed al licenziamento, paventati da parte ricorrente, non essendo stato allegato da parte ricorrente alcun elemento da cui poter desumere l’intenzione del datore di lavoro di procedere alla sospensione dal lavoro senza retribuzione e al licenziamento; ritenuto che, attesa l’assenza di specifici precedenti giurisprudenziali, sussistono le condizioni di cui all’art. 92 co. II c.p.c. per compensare le spese processuali. P.Q.M. visto l’art. 700 c.p.c.; 1. rigetta il ricorso

 

Medici specializzandi obbligo di assicurazione INAIL

I medici specializzandi debbono essere assicurati presso l’INAIL e quindi l’Azienda Ospedaliera è destinataria dell’obbligo assicurativo.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n.443 del 13.1.2021.

Il DLGS 368/1999 all’articolo 41 prevede a carico dell’azienda sanitaria presso la quale il medico svolge la propria formazione l’onere della copertura assicurativa per i rischi professionali, per  la responsabilità civile verso terzi e gli infortuni connessi all’attività assistenziale, alle stesse condizioni dell’altro personale.

Il DLGS 368/1999 costituisce l’attuazione della direttiva comunitaria 93/16/CEE che impone uniformità di trattamento per i medici in formazione.

Sosteneva l’azienda sanitaria che la legge aveva previsto un generico obbligo assicurativo, ma non espressamente un obbligo di assicurazione all’INAIL non essendo i medici specializzandi neppure lavoratori subordinati. Sosteneva inoltre l’azienda sanitaria che i medici specializzandi non potevano neppure essere considerati studenti in base all’articolo 4 del DPR n.1124 del 1965.

La Corte di Cassazione ha smentito tale assunto difensivo, ritenendo come il dato testuale della legge di cui al DLGS 368/1999 articolo 4 impone per quanto riguarda la copertura antiinfortunistica l’uniformità di copertura riguardo al restante personale.