Un nuovo intervento della Corte Costituzionale in tema di licenziamenti

La Corte costituzionale, riunita oggi in camera di consiglio, ha esaminato la
questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Ravenna sull’articolo 18 dello
Statuto dei lavoratori, come modificato dalla cosiddetta legge Fornero (n. 92 del
2012), là dove prevede la facoltà e non il dovere del giudice di reintegrare il
lavoratore arbitrariamente licenziato in mancanza di giustificato motivo oggettivo.
La Corte ha ritenuto che sia irragionevole ² in caso di insussistenza del fatto – la
disparità di trattamento tra il licenziamento economico e quello per giusta causa: in
questo caso,spetta alla discrezionalità del giudice la scelta tra la stessa reintegra e la corresponsione di
un risarcimento.
Le motivazioni della sentenza saranno depositate nelle prossime settimane.
Roma, 24 febbraio 2021

Interpretazione autentica dell’articolo 38 del DLGS 81/2015. Licenziamento e somministrazione illecita di manodopera.

Il licenziamento intimato dal somministrante è privo di effetto provenendo da chi non è reale datore di lavoro.

 

A chiarimento di fondati dubbi di dottrina e giurisprudenza interviene il DL 19.5.2020 e successiva legge di conversione n.77/2020 che stabilisce l’interpretazione autentica del comma 3 dell’articolo 38 del DLGS 81/2015 ai sensi del quale tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione, si interpreta nel senso che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro non è compreso il licenziamento.

Per comprenderne la portata giova la ricostruzione della normativa che pareva aver introdotto un duplice licenziamento ( o meglio con duplice imputazione)  per il lavoratore che aveva avuto la ventura (meglio sventura) di lavorare nell’ambito di una illecita somministrazione di manodopera.

  1. La questione.

In tema di somministrazione irregolare, il reale utilizzatore quasi mai, per evidenti motivi, provvede al licenziamento del lavoratore che viene invece effettuato dal datore di lavoro apparente.

Per costante indirizzo giurisprudenziale, non era riconosciuto al datore di lavoro apparente il potere di licenziare e quindi, il recesso da questi intimato doveva considerarsi come mai avvenuto e pertanto, il rapporto di lavoro era destinato a proseguire con l’utilizzatore il quale avrebbe dovuto così direttamente assumersi l’onere del licenziamento.

Tra il 2011 ed il 2015 tra collegato lavoro e jobs act, sono state emanate diverse norme atte ad evitare che delle tardive le azioni per il riconoscimento del rapporto di lavoro in capo ad un determinato soggetto potessero avere per l’impresa, dato il passare del tempo ed il pieno e la decorrenza del diritto, effetti devastanti sui soggetti datori di lavoro che subivano l’azione.

L’articolo 32 della legge 4.11.2010 n.183 (collegato lavoro) estende così i termini di decadenza per l’impugnazione del licenziamento (60 giorni per l’impugnazione e da questi 180 giorni per l’avvio del contenzioso) a tutti i casi dove il ricorrente chieda la costituzione di un rapporto di lavoro diverso dal formale titolare, ivi compresa l’ipotesi di cui all’articolo 27 del DLGS 276/2003.

Dunque nel caso di somministrazione irregolare, il lavoratore che avesse voluto ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro intercorrente con l’utilizzatore avrebbe dovuto agire a pena di decadenza entro i predetti termini.

Ponendosi l’interrogativa da quando far decorrere il termine di decadenza, appare ragionevole ritenere che esso coincida con la cessazione del rapporto oggetto della somministrazione.

A questo punto però la questione si complica alquanto.

  1. L’interpretazione dell’articolo 27 del DLGS 276/2003 e del successivo articolo 38 del DLGS 81/2015.

L’articolo 27 del DLGS 276/2003 cui abbiamo fatto cenno, stabiliva  al comma 2 che nel caso di riconoscimento del rapporto di lavoro in capo al reale utilizzatore, tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino alla  concorrenza della somma effettivamente pagata e che inoltre tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, dovevano intendersi  come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione.

La norma quindi imputa ad entrambi i soggetti somministrante illegittimo e destinatario della somministrazione ogni atto inerente il rapporto di lavoro del somministrato irregolare.

Non vi era espressa menzione del licenziamento che si sarebbe potuto intendere anche alla stregua di uno degli atti concernenti la gestione del rapporto.

La norma appena esaminata era abrogata dal DLGS 81/2015 che all’articolo 38 così dispone:

  1. In mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore.
  2. Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione.
  3. Nelle ipotesi di cui al comma 2 tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione. (71)
  4. La disposizione di cui al comma 2 non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

 

Rimaneva quindi ferma la previsione o meglio interpretazione che vuole imputabili ad entrambi i soggetti somministrante e somministrato l’imputazione degli atti di gestione del rapporto di lavoro.

La giurisprudenza della Suprema Corte avvallava una simile interpretazione (Cassazione 13.9.2016 n.17969).

Affermava la Suprema Corte che l’articolo 27 del DLGS 276/2003 disponendo, in maniera espressa ed inequivoca che “tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o per la gestione del rapporto, si intendono compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione”, sancisce che l’utilizzatore subentra nei rapporti così come costituiti e poi gestiti dal somministratore.

Doveva , pertanto, ritenersi, statuiva la motivazione della sentenza, che, vi fosse , un’ unica matrice, per quel che riguarda la tipologia di lavoro, che viene ricondotto all’utilizzatore negli stessi termini in cui era stato voluto (costituito) e poi gestito dal somministratore,  per quanto riguarda tutti  gli atti di gestione del rapporto che producono quindi, per espressa volontà del legislatore, tutti gli effetti negoziali anche modificativi del rapporto di lavoro, loro propri, ivi incluso il licenziamento.

Ne conseguiva, secondo la Cassazione, che il licenziamento anche se intimato, come nella fattispecie in esame, dal somministratore avrebbe dovuto essere impugnato nei sessanta giorni successivi alla sua comunicazione, pena la ordinaria decadenza dell’azione di annullamento anche rispetto all’utilizzatore, non potendo ormai trovare applicazione i principi affermati da questa Corte con riguardo alla L. n. 1369 del 1960.

A conclusioni analoghe perveniva successivamente Cassazione n.6668 del 7.3.2019, la quale però aderiva alla tesi già formulata in precedenza dalla Corte in nome della funzione di nomofilachia della Corte medesima e non avendo la parte interessata formulato diverse ragioni a contestare detto orientamento.

Dunque conseguenza di questa previsione e della sua interpretazione, era il fatto che allorquando il fittizio datore di lavoro (somministrante illegittimo) licenziava il somministrato, il licenziamento avrebbe dovuto intendersi anche come proveniente dall’utilizzatore.

In realtà, molto tempo prima, ma già nella vigenza dell’articolo 27 DLGS 276/2003, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ( sentenza n.22910 del 26.10.2016) avevano diversamente ritenuto  come la normativa di cui all’articolo 27 del DLGS 276/2003 si presentasse come eccezione alla regola generale che imputa il rapporto di lavoro a chi effettivamente instaura il contratto, e come a tale  eccezione non poteva aggiungersi l’ipotesi non prevista del licenziamento e dei suoi effetti da imputarsi ad entrambi i soggetti imprenditore illegittimamente somministrante ed utilizzatore della prestazione.

  1. Altre considerazioni d’ordine costituzionale e comunitario.

Oltre a quest’ultima autorevole giurisprudenza, militano a favore di queste ultime conclusioni altre considerazioni anche di ordine costituzionale e comunitario.

L’interpretazione che vuole come tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione e la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione, verrebbe ad imporre, come abbiamo visto, l’impugnazione nei confronti di quest’ultimo, del licenziamento in sede stragiudiziale e giudiziale entro limiti temporali a pena di decadenza e nell’ambito della motivazione adotta dal datore di lavoro fittizio (illecito somministratore).

Su tale base, si finirebbe per pretendere che il dipendente illecitamente somministrato debba impugnare un licenziamento intimato da chi (irregolare somministrante) non è realmente il suo datore di lavoro e quindi, sulla base di una motivazione inerente un rapporto di lavoro che non lo riguarda, o ancor meglio non esiste e comunque proviene da un soggetto terzo (somministratore).

Infatti, il somministratore che non è datore di lavoro non ha il potere di licenziare né comunque può giustificare il licenziamento con fatti che riguardano alla fine un soggetto estraneo al rapporto. Il potere, in questo caso, gli viene attribuito sulla base di una “fictio” di natura legale e quindi nella stessa logica si imporrebbe una motivazione fittizia ed un onere di impugnare la stessa in merito alla quale è lecito nutrire dei dubbi.

La legge finirebbe così per creare un potere che non esiste e che non rispecchia una situazione reale, giungendo a simulare una situazione che come giusta causa o giustificato motivo potrebbe rendere legittimo il licenziamento.

Di fronte ad un tanto, non rimane che ribadire come il soggetto licenziato in questo caso non possa essere toccato da fatti giuridici limitati alla sfera di un soggetto estraneo al rapporto di lavoro.

La questione si pone in maniera ancor più evidente e reale di fronte a quello che, come la motivazione, è, nel nostro ordinamento, e non solo, il primo requisito di legittimità del recesso.

La motivazione del licenziamento deve assolutamente essere reale e pertinente al contesto lavorativo, altrimenti non è una vera motivazione.

La motivazione è un elemento fondamentale del licenziamento e la sua violazione involge anche aspetti di costituzionalità e di coerenza con la normativa comunitaria.

La legge a questo punto non può automaticamente trasferire ad un soggetto terzo le ragioni esplicitate da altri per giustificare il recesso.

Appare irragionevole sostenere l’esistenza di una proprietà transitiva delle motivazioni e del potere di licenziare.

La legge potrebbe semmai imputare formalmente la provenienza dell’atto ad altro soggetto per quanto riguarda i termini e l’interruzione del rapporto, ma non potrà mai trasporre le ragioni da un soggetto all’altro.

La motivazione deve essere reale ed imputabile fattualmente al reale titolare   del rapporto.

Dunque, una lettura costituzionalmente orientata porta a ritenere vero atto di licenziamento solo quello proveniente dal soggetto che ha utilizzato la prestazione.

Una diversa lettura del secondo comma dell’articolo 27 DLGS 276/2003 e successivamente dell’articolo 38 del DLGS 81/2015 finirebbe per collidere con l’articolo 3 della costituzione in quanto espone il soggetto somministrato a differenza di altri soggetti destinatari di licenziamento, sarebbe onerato ad impugnare una motivazione che non è in alcun modo rilevabile e contestabile presso il reale datore di lavoro. Tale differenza giustificata sino a quando sia necessario a far decorrere rapidamente e senza incertezza i termini di definizione della causa, non è più razionale e giustificata, allorquando impone ad un soggetto di contestare una situazione fattuale che non esiste.

Sempre in relazione all’articolo 3 della Carta costituzionale, la norma così intesa pare confliggere anche con il principio di ragionevolezza limite costituzionale al potere del legislatore (articolo 3 Costituzione).

La norma in effetti nel voler contemperare il giusto interesse dell’impresa a vedere una definizione in tempi ragionevoli di eventuali controversie per il riconoscimento di un rapporto di lavoro, penalizza in maniera senza dubbio abnorme il lavoratore che si trova a dover impugnare un recesso comunicato da un soggetto in relazione ad una situazione di fatto in essere presso altro soggetto, quando sarebbe stato sufficiente porre dei termini di decadenza per l’impugnazione di un licenziamento che proviene da chi di fatto non è il reale datore di lavoro.

La situazione delineata apre come già accennato, anche altri notevoli interrogativi d’ordine costituzionale e di conformità all’ordinamento comunitario.

Un simile impianto normativo collegato alle recenti modifiche apportate all’articolo 18 legge 300/70 dalla legge 92/2012 e di seguito dal Jobs Act sulle tutele crescenti DLGS 23/2015 che, nel caso di recesso soprattutto motivato come licenziamento economico, o addirittura privo di motivazione, potrebbero comportare la sola tutela risarcitoria, faciliterebbe in maniera irragionevole e abnorme l’utilizzatore della somministrazione illecita, che potrebbe giovarsi di motivazioni apparenti provenienti dall’illecito somministrante.

In pratica, il legislatore lungi dall’introdurre adeguate normative di tutela del posto di lavoro e di contrasto a forme illegittime di intermediazione realizzando così un contemperamento tra i principi costituzionali in tema di protezione del lavoro con quelli a promozione dell’imprenditorialità, si sostituisce al datore di lavoro che versa in una situazione di illecito, ed introduce delle norme atte a favorire un comodo recesso.

La norma così formulata e nella sua interpretazione letterale appare comunque contraria all’ articolo 4 della Carta Costituzionale, in quanto una simile lettura non agevola e favorisce l’accesso al lavoro e la sua conservazione.

Essa peraltro contrasta con l’articolo 24 della Costituzione in quanto finisce per violare il diritto ad agire in giudizio a tutela dei propri diritti, dovendo il lavoratore impugnare e disattendere una motivazione necessariamente generica e fittizia.

Il tema trattato involge pure il diritto comunitario.

E’ vero che non sussiste direttiva comunitaria alcuna in tema di licenziamento, ma pur in assenza di una direttiva sul licenziamento individuale, il diritto europeo incide comunque su alcuni profili delle discipline nazionali, grazie, ad alcuni importanti principi di natura comunitaria in tema di politica sociale.

Ci riferiamo in primo luogo, all’articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali UE che stabilisce il principio in base al quale ogni licenziamento deve trovare giustificazione.

Stabilisce l’articolo 30 della Carta dei Diritti Fondamentali UE ( tutela in caso di licenziamento ingiustificato) Che ““Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali.”

La tutela, ad avviso di chi scrive, presuppone che il provvedimento provenga anche formalmente da chi ne pone in atto gli effetti e si basi su di una motivazione reale e conoscibile da parte del lavoratore.

Di seguito, si richiama pure l’articolo 24 della Carta Sociale Europea che aggiunge alla tutela anche i mezzi per attuarla individuando un valido motivo legato alla condotta del lavoratore o al funzionamento dell’impresa datrice di lavoro.

Attento esame merita pure, anche se non di provenienza comunitaria, la convenzione OIL n.158/1982.

Essa pone limiti di livello internazionale alla facoltà di licenziare.

La convenzione si snoda in una serie compiuta di previsioni che risultano complete e precise.

L’articolo 4 nel riaffermare l’obbligo della motivazione, rispetto alla normativa comunitaria sinora esposta, specifica quali debbano essere i motivi leciti di recesso che devono essere limitati all’attitudine o alla condotta del lavoratore o alle necessità di funzionamento dell’impresa, dello stabilimento o del servizio.

Il testo dell’articolo 4 della convenzione OIL n.158/1982 è il seguente:

Un lavoratore non dovrà essere licenziato senza che esista un motivo valido di licenziamento legato all’attitudine o alla condotta del lavoratore, o fondata sulle necessità di funzionamento dell’impresa, dello stabilimento o del servizio.

Di seguito gli articoli 7 e 8 stabiliscono importanti regole procedurali a garanzia del lavoratore che contemplano il ricorso ad una autorità terza, e l’onere della prova della legittimità del licenziamento a carico del datore di lavoro, determinando in linea di massima gli obblighi riparatori.

  1. In conclusione.

La norma di interpretazione autentica fa chiarezza su di un punto dove già la giurisprudenza sarebbe potuta intervenire anche in relazione alla autorevole pronuncia delle Sezioni Unite del 26.10.2006 n.22910.

Ora, il licenziamento proveniente dall’illecito somministrante, deve ritenersi “ tamquam non esset”.

Conformemente si è espressa la giurisprudenza di merito – Tribunale di Roma terza Sezione Lavoro Giudice Lionetti 3.2.2021 causa promossa dallo Studio Panici.

Fabio Petracci.

 

 

 

 

 

 

Vaccinazioni anti COVID 19 e poteri del datore di lavoro.

Vaccinazioni anti COVID 19 e poteri del datore di lavoro.

Vaccinazioni anti COVID 19 e poteri del datore di lavoro.

 

Le FAQ del Garante sul trattamento dei dati sulla vaccinazione nel contesto lavorativo.

Con la nota del 17 febbraio 2021 il Garante per la Privacy ha fornito mediante delle FAQ delle indicazioni in merito all’applicazione del GDPR (Regolamento Generale Protezione Dati)  all’atto delle vaccinazioni.

Ci troviamo in un ambito di diritto che attiene di sicuro la salute e la vita privata del cittadino lavoratore, ma che involge necessariamente aspetti di protezione pubblica.

 

Le FAQ, infatti, rispondono ai quesiti che vengono di seguito riportati:

 

  • Il Datore di lavoro può chiedere conferma ai propri dipendenti dell’avvenuta vaccinazione?

Ha ritenuto il Garante che al Datore di lavoro non è concesso chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sull’avvenuta vaccinazione, né di consegnare copia dei relativi documenti.  Non è, infatti, ritenuto lecito ai sensi della disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Tenuto conto inoltre del Considerando n. 43 GDPR, il Garante ha ritenuto che il consenso fornito dai dipendenti non costituisca una valida condizione di liceità del trattamento, stante la situazione di squilibrio nell’ambito del rapporto tra il soggetto titolare e il soggetto interessato nel contesto lavorativo.

Dunque il datore di lavoro non può acquisire dati e informazioni relativi allo stato di vaccinazione dei dipendenti anche in caso di consenso prestato da questi ultimi.

 

  • Il Datore di lavoro può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati?

 

Ha ritenuto il Garante che il medico competente non è autorizzato a fornire al Datore di lavoro alcun dato relativo ai nominativi dei dipendenti che abbiano sostenuto il vaccino. L’attività di trattamento di questi dati è esclusivamente concessa allo stesso medico competente nell’ambito delle attività di sorveglianza e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica del lavoratore.

E’ invece, consentita al Datore di lavoro l’acquisizione dei giudizi di idoneità alla mansione specifica e le prescrizioni/limitazioni colà indicati.

 

3) La vaccinazione anti Covid-19 dei dipendenti può essere richiesta come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni (ad es. in ambito sanitario)?

 

Sul punto che appare abbastanza delicato anche in assenza di indicazioni legislative ed anche in relazione a determinate mansioni ove rileva la situazione sanitaria e di immunità del dipendente, il garante si richiama a quanto disposto dall’articolo 279 del DLGS 81/2008.

Stabilisce il predetto articolo che:

I lavoratori addetti alle attività per le quali la valutazione dei rischi ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria.

  1. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali:
  2. a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente;
  3. b) l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 42.
  4. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso agente, l’esistenza di anomalia imputabile a tale esposizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro.
  5. A seguito dell’informazione di cui al comma 3 il datore di lavoro effettua una nuova valutazione del rischio in conformità all’articolo 271.
  6. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sul controllo sanitario cui sono sottoposti e sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività che comporta rischio di esposizione a particolari agenti biologici individuati nell’allegato XLVI nonchè sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione.

Nonostante l’espressa previsione dei vaccini come strumenti di sicurezza, di fronte a determinate situazioni a rischio, il Garante ha comunque ribadito come spetti comunque al medico competente il trattamento di questi dati, nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie e la decisione in merito all’idoneità alle specifiche mansioni.

Sarà quindi il medico competente a fungere da raccordo tra dette esigenze ed il datore di lavoro ed a richiedere a quest’ultimo la parziale o totale inidoneità del lavoratore dipendente.

In ogni caso, il Garante sul punto auspica un intervento normativo che consente sul punto un adattamento del regolamento alla situazione in atto.

Fabio Petracci.

Le FAQ del Garante sul trattamento dei dati sulla vaccinazione nel contesto lavorativo.

Con la nota del 17 febbraio 2021 il Garante per la Privacy ha fornito mediante delle FAQ delle indicazioni in merito all’applicazione del GDPR (Regolamento Generale Protezione Dati)  all’atto delle vaccinazioni.

Ci troviamo in un ambito di diritto che attiene di sicuro la salute e la vita privata del cittadino lavoratore, ma che involge necessariamente aspetti di protezione pubblica.

 

Le FAQ, infatti, rispondono ai quesiti che vengono di seguito riportati:

 

  • Il Datore di lavoro può chiedere conferma ai propri dipendenti dell’avvenuta vaccinazione?

Ha ritenuto il Garante che al Datore di lavoro non è concesso chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sull’avvenuta vaccinazione, né di consegnare copia dei relativi documenti.  Non è, infatti, ritenuto lecito ai sensi della disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Tenuto conto inoltre del Considerando n. 43 GDPR, il Garante ha ritenuto che il consenso fornito dai dipendenti non costituisca una valida condizione di liceità del trattamento, stante la situazione di squilibrio nell’ambito del rapporto tra il soggetto titolare e il soggetto interessato nel contesto lavorativo.

Dunque il datore di lavoro non può acquisire dati e informazioni relativi allo stato di vaccinazione dei dipendenti anche in caso di consenso prestato da questi ultimi.

 

  • Il Datore di lavoro può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati?

 

Ha ritenuto il Garante che il medico competente non è autorizzato a fornire al Datore di lavoro alcun dato relativo ai nominativi dei dipendenti che abbiano sostenuto il vaccino. L’attività di trattamento di questi dati è esclusivamente concessa allo stesso medico competente nell’ambito delle attività di sorveglianza e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica del lavoratore.

E’ invece, consentita al Datore di lavoro l’acquisizione dei giudizi di idoneità alla mansione specifica e le prescrizioni/limitazioni colà indicati.

 

3) La vaccinazione anti Covid-19 dei dipendenti può essere richiesta come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni (ad es. in ambito sanitario)?

 

Sul punto che appare abbastanza delicato anche in assenza di indicazioni legislative ed anche in relazione a determinate mansioni ove rileva la situazione sanitaria e di immunità del dipendente, il garante si richiama a quanto disposto dall’articolo 279 del DLGS 81/2008.

Stabilisce il predetto articolo che:

I lavoratori addetti alle attività per le quali la valutazione dei rischi ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria.

  1. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali:
  2. a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente;
  3. b) l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 42.
  4. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso agente, l’esistenza di anomalia imputabile a tale esposizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro.
  5. A seguito dell’informazione di cui al comma 3 il datore di lavoro effettua una nuova valutazione del rischio in conformità all’articolo 271.
  6. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sul controllo sanitario cui sono sottoposti e sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività che comporta rischio di esposizione a particolari agenti biologici individuati nell’allegato XLVI nonchè sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione.

Nonostante l’espressa previsione dei vaccini come strumenti di sicurezza, di fronte a determinate situazioni a rischio, il Garante ha comunque ribadito come spetti comunque al medico competente il trattamento di questi dati, nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie e la decisione in merito all’idoneità alle specifiche mansioni.

Sarà quindi il medico competente a fungere da raccordo tra dette esigenze ed il datore di lavoro ed a richiedere a quest’ultimo la parziale o totale inidoneità del lavoratore dipendente.

In ogni caso, il Garante sul punto auspica un intervento normativo che consente sul punto un adattamento del regolamento alla situazione in atto.

Fabio Petracci.

Contratto di apprendistato – piano formativo individuale – mancanza di forma scritta – nullità-

Il Tribunale di Parma Sezione Lavoro con una recente sentenza del 29.12.2020 ha ritenuto che in tema di apprendistato professionalizzante, il requisito della forma scritta deve riguardare anche il piano formativo individuale.

Tale piano ha sottolineato il Tribunale di Parma caratterizza l’aspetto peculiare del contratto e quindi ne connota la causa che deve identificarsi nell’obbligo formativo che incombe sul datore di lavoro.

In assenza della prova di un piano formativo e quindi di un programma di formazione, il contratto di apprendistato dovrà ritenersi nullo, stante l’assenza di causa ex articolo 1418 del codice civile e quindi il rapporto di lavoro dovrà a tutti gli effetti essere considerato come ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

 

Ricordiamo che l’articolo 41 del DLGS 81/2015 fornisce nei seguenti termini la definizione del contratto di apprendistato:

  1. L’apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani.
  2. Il contratto di apprendistato si articola nelle seguenti tipologie:
  3. a) apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;
  4. b) apprendistato professionalizzante;
  5. c) apprendistato di alta formazione e ricerca.
  6. L’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e quello di alta formazione e ricerca integrano organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro, con riferimento ai titoli di istruzione e formazione e alle qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, nell’ambito del Quadro europeo delle qualificazioni.

E’ invece il successivo articolo 42 che ne detta la disciplina nei seguenti termini:

  1. Il contratto di apprendistato è stipulato in forma scritta ai fini della prova. Il contratto di apprendistato contiene, in forma sintetica, il piano formativo individuale definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali di cui all’articolo 2, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 276 del 2003. Nell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore e nell’apprendistato di alta formazione e ricerca, il piano formativo individuale è predisposto dalla istituzione formativa con il coinvolgimento dell’impresa. Al piano formativo individuale, per la quota a carico dell’istituzione formativa, si provvede nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
  2. Il contratto di apprendistato ha una durata minima non inferiore a sei mesi, fatto salvo quanto previsto dagli articoli 43, comma 8, e 44, comma 5.
  3. Durante l’apprendistato trovano applicazione le sanzioni previste dalla normativa vigente per il licenziamento illegittimo. Nel contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore, costituisce giustificato motivo di licenziamento il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi come attestato dall’istituzione formativa.
  4. Al termine del periodo di apprendistato le parti possono recedere dal contratto, ai sensi dell’articolo 2118 del codice civile, con preavviso decorrente dal medesimo termine. Durante il periodo di preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle parti recede il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
  5. Salvo quanto disposto dai commi da 1 a 4, la disciplina del contratto di apprendistato è rimessa ad accordi interconfederali ovvero ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nel rispetto dei seguenti principi:
  6. a) divieto di retribuzione a cottimo;
  7. b) possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto a quello spettante in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro ai lavoratori addetti a mansioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto, o, in alternativa, di stabilire la retribuzione dell’apprendista in misura percentuale e proporzionata all’anzianità di servizio;
  8. c) presenza di un tutore o referente aziendale;
  9. d) possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi paritetici interprofessionali di cui all’articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e all’articolo 12 del decreto legislativo n. 276 del 2003, anche attraverso accordi con le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;
  10. e) possibilità del riconoscimento, sulla base dei risultati conseguiti nel percorso di formazione, esterna e interna alla impresa, della qualificazione professionale ai fini contrattuali e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi nonché nei percorsi di istruzione degli adulti;
  11. f) registrazione della formazione effettuata e della qualificazione professionale ai fini contrattuali eventualmente acquisita nel libretto formativo del cittadino di cui all’articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 276 del 2003;
  12. g) possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del lavoro, di durata superiore a trenta giorni;
  13. h) possibilità di definire forme e modalità per la conferma in servizio, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato.
  14. Per gli apprendisti l’applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria si estende alle seguenti forme:
  15. a) assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
  16. b) assicurazione contro le malattie;
  17. c) assicurazione contro l’invalidità e vecchiaia;
  18. d) maternità;
  19. e) assegno familiare;
  20. f) assicurazione sociale per l’impiego, in relazione alla quale, in aggiunta a quanto previsto in relazione al regime contributivo per le assicurazioni di cui alle precedenti lettere, ai sensi della disciplina di cui all’articolo 1, comma 773, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2013 è dovuta dai datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani una contribuzione pari all’1,31 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, con riferimento alla quale non operano le disposizioni di cui all’articolo 22, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183(78).
  21. Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione autorizzate, non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro. Tale rapporto non può superare il 100 per cento per i datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori inferiore a dieci unità. E’ in ogni caso esclusa la possibilità di utilizzare apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato. Il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a tre, può assumere apprendisti in numero non superiore a tre. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle imprese artigiane per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443.
  22. Ferma restando la possibilità per i contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, di individuare limiti diversi da quelli previsti dal presente comma, esclusivamente per i datori di lavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti, l’assunzione di nuovi apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante è subordinata alla prosecuzione, a tempo indeterminato, del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 20 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro, restando esclusi dal computo i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, dimissioni o licenziamento per giusta causa. Qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è in ogni caso consentita l’assunzione di un apprendista con contratto professionalizzante. Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti di cui al presente comma sono considerati ordinari lavoratori subordinati a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.

La norma impone la forma scritta ai fini della prova.

La norma prevede anche la possibilità di un programma formativo in forma sintetica sulla base di semplici formulari (articolo 42 comma 1).

In ogni caso l’assenza di ogni traccia di programma costituisce un rilevante indizio che può comportare l’assenza della causa.

Fabio Petracci.

Segretari Comunali – Clausola di Galleggiamento. Articolo 41 comma 5 CCNL Segretari Comunali 16.5.2001.

L’ articolo 41, comma 5, del contratto dei segretari comunali prevede un meccanismo che garantisce che l’indennità di posizione dei segretari comunali non può essere inferiore a quella stabilita per la funzione dirigenziale più elevata nell’ente. Trattasi della cosiddetta clausola di galleggiamento.

Nel corso di una causa avviata davanti al Giudice del Lavoro di Ferrara si è posta la questione se l’allineamento dovesse valere anche in relazione a quella del dirigente a tempo determinato assunto ai sensi dell’articolo 110 del DLGS 267/2000 oppure se essa debba intendersi limitata alla funzione dirigenziale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Ferrara ritenendo di non avere gli strumenti normativi in base all’articolo 64 del DLGS 165/2001 ha investito dell’interpretazioni della clausola le parti contrattuali.

Queste ultime hanno sottoscritto l’ipotesi di accordo di interpretazione autentica dell’articolo 41 comma 5 del CCNL Segretari Comunali.

Le parti contrattuali hanno chiarito che la previsione di cui all’articolo 41 , comma 5 del richiamato CCNL possa trovare applicazione anche confrontando la retribuzione di posizione del dirigente assunto con contratto a tempo determinato sempre che la retribuzione di posizione dello stesso sia stata determinata esclusivamente entro i limiti di importo e nel pieno rispetto delle norme previste dalla disciplina contrattuale della Dirigenza degli Enti Locali, a seguito della preventiva graduazione e pesatura della posizione dirigenziale.

Dunque in base alla cosiddetta clausola di galleggiamento, l’indennità di posizione del segretario comunale potrà essere rapportata a quella del dirigente apicale anche se assunto con contratto a tempo determinato ex articolo 110 DLGS 267/2000.

 

Fabio Petracci