CASSAZIONE Rapporto di lavoro extraistituzionale di dipendente part.time.

Corte di Cassazione 18 luglio 2022 n.22497.

Il DPR n.3 del 1957 all’articolo 60 stabiliva il principio dell’esclusività della prestazione lavorativa, stabilendo che L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, nè alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del ministro competente”.

La ratio di tale divieto risiede nell’articolo 97 della Costituzione che vuole l’imparzialità della Pubblica Amministrazione e più specificamente dell’articolo 98 Costituzione che segue e stabilisce che i pubblici dipendenti sono al servizio esclusivo della nazione.

Di seguito il rapporto di pubblico impiego era sempre meno ispirato da principi autoritativi ed il rapporto di lavoro iniziava a collocarsi su di un piano contrattuale.

Quindi, il principio di esclusività era mitigato con il DLGS 165/2001 e già in precedenza con il DLGS n.29/2003 che consentivano al pubblico dipendente previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza di svolgere incarichi conferiti da altre amministrazioni o soggetti privati anche retribuiti, purchè non incompatibili.

In precedenza con l’entrata in vigore della legge 662/1996 l’articolo 1 ai commi 57 e 62 consentiva ai dipendenti pubblici, tranne il personale militare le Forze di Polizia ed i vigili de fuoco, di instaurare rapporti di lavoro a tempo parziale.

L’instaurazione del rapporto di lavoro a tempo parziale consente poi al dipendente pubblico l’instaurazione di un secondo rapporto di lavoro che l’amministrazione non ritenga incompatibile.

Stabilisce la norma appena citata che il secondo rapporto di lavoro non può intercorrere con altra amministrazione.

E’ previsto inoltre che i dipendenti degli enti locali possano svolgere prestazioni per conto di altri enti, previa autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza.

La sanzione è rappresentata dal comma 61 dell’articolo 1 che stabilisce come la violazione del divieto di cui al comma 60 e la mancata comunicazione di cui al comma 58 determinano la risoluzione del rapporto per giusta causa.

Nel caso di specie, però, ritiene la Corte di Cassazione, come l’articolo 53 comma 1 del DLGS non trovi applicazione all’articolo 1, comma 56 della legge 662/1996 che esclude l’applicazione della normativa concernente l’autorizzazione al secondo lavoro ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno”.

Ne deriva, secondo la pronuncia in esame della Corte di Cassazione che il regime dei “dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno” non è interessato dalla regolamentazione introdotta dal D.Lgs. n. 165 del 2001art. 53, comma 1, e, quindi, dal richiamo ivi contenuto alla L. 23 dicembre 1996, n. 662art. 1, commi 57 e ss.” (con l’unica eccezione di quanto stabilito dal comma 58-bis, su cui si tornerà in seguito).

Non a caso, ritiene la Cassazione, il DLGS. n. 165 del 2001art. 53, comma 6, stabilisce, per quel che qui interessa, che “I commi da 7 a 13 del predetto articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, compresi quelli di cui all’art. 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali.

Fabio Petracci.

 

 

Smart working e permessi sindacali. Cosa dice l’ARAN

E’ possibile la fruizione dei permessi per l’espletamento del mandato e dei permessi per le riunioni di organismi direttivi statutari ad ore qualora il dipendente/dirigente sindacale sia in smart working?

Per quanto di competenza, si fa presente che la regola generale prevede che sia i permessi per le riunioni di organismi direttivi statutari che i permessi per l’espletamento del mandato possano essere fruite sia ad ore che a giornate (art. 10, comma 1 per i permessi per l’espletamento del mandato e art. 13, comma 1 per i permessi per le riunioni di organismi direttivi statutari del CCNQ 4/12/2017 come modificato dal CCNQ 19/11/2019).

Sul punto, appare utile ricordare che la funzione di qualsiasi tipologia di permesso è quella di consentire al lavoratore di interrompere la propria attività durante l’orario di lavoro.

Pertanto, con riguardo alla possibilità di fruizione di permessi sindacali retribuiti ad ore per il personale che rende la propria prestazione lavorativa in smart working, questa Agenzia è dell’avviso che le due fattispecie non siano a priori incompatibili.

Ad esempio, in base alle indicazioni della Direttiva 01/06/2017, n° 3 del Ministro per la Pubblica Amministrazione, nel lavoro svolto in modalità agile è possibile individuare fasce di reperibilità – volte ad assicurare il coordinamento tra la prestazione di lavoro in modalità agile e l’organizzazione complessiva del datore di lavoro – nelle quali il lavoratore deve rendersi contattabile e disponibile per l’amministrazione.

In tale ipotesi, anche nella modalità lavorativa agile potrebbe risultare necessaria la fruizione su base oraria dei permessi retribuiti previsti dal vigente CCNQ in tema di prerogative sindacali. Infatti, essi nella fattispecie in esame, si concretizzerebbero nella possibilità per il dipendente, in relazione ad un intervallo temporale determinato, di poter svolgere attività sindacale in orario coincidente con le predette fasce di reperibilità di cui alla citata Direttiva, ferme restando le ordinarie disposizioni contrattuali in tema di requisiti soggettivi e oggettivi per la fruizione dei permessi in parola.

 

Il dipendente che rinuncia alla pausa pranzo, ha diritto al controvalore pecuniario?

La Cassazione afferma che, stante la natura assistenziale e non retributiva dei buoni pasto, il diritto agli stessi viene meno qualora il dipendente rinunci a fruire della pausa pranzo. La Corte conferma così la statuizione della Corte d’Appello che aveva rigettato la domanda, di una dipendente ministeriale volta ad ottenere il pagamento del controvalore pecuniario dei buoni pasto non percepiti sul presupposto che, nell’arco temporale oggetto di causa, la ricorrente aveva volutamente rinunciato – con l’avallo della Amministrazione datrice alla pausa pranzo. La Cassazione afferma che il diritto alla fruizione dei buoni pasto ha natura assistenziale e non retributiva, finalizzata ad alleviare, in mancanza di un servizio mensa, il disagio di chi sia costretto, in ragione dell’orario di lavoro osservato, a mangiare fuori casa. Concetto questo contenuto anche nel CCNL applicabile al caso di specie, ove non risultano integrati gli estremi a cui la disciplina collettiva subordina il diritto alla prestazione.

VIDEO – Labor network in streaming: la gestione dei rapporti di lavoro ai tempi del coronavirus.

Pubblichiamo il video del webinar organizzato da Labor network (www.labornetwork.it) il 15 aprile sulla gestione dei rapporti di lavoro ai tempi del coronavirus.

L’intervento del avv. Petracci in merito alla sicurezza sul lavoro nell’emergenza COVD-19 – CORONAVIRUS con particolare attenzione allo stress lavoro correlato e burn out delle categorie più a rischio inizia a 1h 44 min.

Pur nella specialità dell’emergenza epidemiologica la normativa a disposizione permette di affrontare la questione sicurezza sul lavoro se applicata con oculatezza e organizzazione.

Lo stress da lavoro di chi ha avuto paura del contagio magari in assenza di strumenti di protezione o anche di chi crede di non essere riuscito a far abbastanza per curare le persone può sfociare nel burn out e portare a danni paermanenti sopratutto con riguardo alle professioni che sono state in prima linea come i medici ed il personale che ha lavorato in terapia intensiva.

Nei confronti di queste categore o di chi non ha potuto esimersi dall’andare al lavoro ed ha affrontato il virus come per esempio le cassiere dei supermercati o il personale di polizia, si potrebbe pensare ad una attività legale per cercare di ottenere il giusto riconoscimento.

Furbetti del Cartellino, risarcimento del danno alla Pubblica Amministrazione.

Con la sentenza n.66/2020 pubblicata in data 16 aprile 2020, la Corte Costituzionale ha ritenuto l’incostituzionalità del comma 3 quater dell’articolo 55 quater del DLGS 165/2001 laddove fissa un tetto minimo di sei mensilità per il risarcimento del danno all’immagine subito dalla pubblica amministrazione, allorquando il dipendente manometta o falsifichi le risultanze della sua presenza.

La Corte ha motivato il proprio intervento in quanto la norma che prevede un tanto è contenuta in un decreto legislativo (DLGS 116/2016 che modificava l’articolo 55 quater del DLGS 165/2001) cui la legge (Legge 124/2015) non aveva conferito una simile delega.

In pratica il governo di allora aveva legiferato in assenza di delega legislativa del parlamento. (articolo 76 della Costituzione).

Vedremo di esaminare sommariamente la questione.

L’articolo 55 quater del DLGS 165/2001 in tema di licenziamento disciplinare nell’ambito della pubblica amministrazione, tocca la responsabilità contabile – amministrativa del dipendente pubblico volta ad alterare i rilievi di presenza in servizio.

Esso al comma 3 – quater prevede espressamente che, l’azione disciplinare debba accompagnarsi alla segnalazione obbligatoria del fatto al pubblico ministero per l’esercizio dell’azione penale ed all’analogo organo presso la procura della Corte dei Conti per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa e contabile, stabilendo che, ferme le valutazioni del giudice in merito all’entità del danno, esso mai potrà essere inferiore a sei mesi dell’ultimo stipendio in godimento.

La norma così strutturata era stata introdotta mediante il DLGS 20.6.2016 n.116 che, modificava il precedente articolo 55 quater del DLGS 165/2001 introducendo questa fattispecie di danno all’immagine che non aveva bisogno di prova alcuna. ( una sorta di danno minimo ed incontestabile).

Il decreto legislativo 116/2016 era emesso su delega della legge 124/2015 che all’articolo 17, punto s) testualmente prevedeva la delega al governo per l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare.

Nulla però era detto dalla legge 124/2015 (legge Madia) in tema di responsabilità contabile – amministrativa.

Fabio Petracci.