Pubblico Impiego: da quando decorre il termine di 40 giorni per la contestazione disciplinare?

Attualmente, a seguito del DLGS 75/2017 (riforma Madia), il termine per la contestazione di cui all’articolo 55 bis,  è stato ridotto a 30 giorni ed è previsto che L’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, con immediatezza e comunque non oltre trenta giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, provvede alla contestazione scritta dell’addebito e convoca l’interessato, con un preavviso di almeno venti giorni, per l’audizione in contraddittorio a sua difesa.

In precedenza e quindi prima della novella attuata con il DLGS 75/2017 lo stesso articolo al comma 2 prevedeva che il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al comma 1, primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l’addebito al dipendente medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, con l’eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di almeno dieci giorni.

E’ ora previsto pure che, il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. L’ufficio competente per i procedimenti disciplinari conclude il procedimento, con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro centoventi giorni dalla contestazione dell’addebito.

In precedenza, rispetto all’entrata in vigore del DLGS 275/2017 tutti i termini sopra indicati dovevano essere rispettati a pena di decadenza.

Attualmente dopo l’entrata in vigore della suddetta normativa (DLGS 275/2017) le ipotesi di decadenza sono state attenuate e l’articolo 55 bis al comma 9 ter così prevede:

La violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell’azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, sono da considerarsi perentori il termine per la contestazione dell’addebito e il termine per la conclusione del procedimento

Quindi, allo stato, gli unici termini perentori, stabiliti a pena di decadenza, sono quello per la contestazione dell’addebito e per la conclusione del procedimento.

In tema di definizione della decorrenza del termine perentorio per la contestazione dell’addebito, la Cassazione con ordinanza n.33394 del 30 novembre 2023 ha precisato che ” ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la contestazione dell’addebito dall’art 55 bis, comma 4, d.lgs. n. 165/2001, assume rilievo esclusivamente il momento in cui l’ufficio competente abbia acquisito una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio del procedimento mediante la contestazione, la quale può essere ritenuta tardiva solo se l’Amministrazione rimanga ingiustificatamente inerte, pur essendo in possesso degli elementi necessari per procedere, sicché il suddetto termine non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati preliminari per circostanziare l’addebito”. La Corte di Cassazione ha anche precisato che nel caso in cui il dipendente sia destinatario di più addebiti per fatti che singolarmente valutati non siano idonei a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, il termine per la conclusione del procedimento disciplinare deve considerarsi rispettato se il dies a quo decorre dal momento in cui la condotta complessivamente addebitata può considerarsi definita e dunque la condotta assume connotati tali da integrare l’infrazione disciplinare oggetto del procedimento(Cass. 4 maggio 2021 n. 11635).

Fabio Petracci

CASSAZIONE: Spoil System Enti locali, limiti di applicabilità.

Con l’ordinanza del 7 giugno 2024 n.15971, la Corte di Cassazione affronta il tema dell’individuazione dei soggetti dirigenziali cui applicare l’istituto dello Spoil System (decadenza dall’incarico a seguito dell’entrata in carica dei nuovi organi di governo).

Attualmente, a livello di Testo Unico del Pubblico Impiego, l’istituto dello Spoil System è previsto dall’articolo 19 del DLGS 165/2001, laddove al comma 3 è prevista l’attribuzione degli incarichi di dirigenza generale apicale e si legge:

“Gli incarichi di Segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente sono conferiti con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 o, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali e nelle percentuali previste dal comma 6.”

Di seguito, il  medesimo articolo al successivo comma 8, con riferimento alle funzioni sopra descritte, stabilisce che:

Gli incarichi di funzione dirigenziale di cui al comma 3 cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo”.

Nel caso di specie, sottoposto all’esame della Corte di Cassazione, un dirigente della Regione Calabria con l’incarico di dirigente di settore per la durata di tre anni, è dichiarato decaduto dall’incarico, dopo la nomina della nuova giunta regionale sulla base dell’articolo 50, comma 6 dello Statuto Regionale.

Inoltre l’articolo 25 comma 7 della legge regionale della Calabria n.14/2000 consente in linea con la normativa regionale, la revoca dell’incarico per i soli dirigenti generali.

L’articolo 16 del DLGS 165/2001 in tema di dirigenza pubblica elenca le attribuzioni ed i poteri dei dirigenti con incarichi di dirigenza generale.

Nel caso di specie, prima il giudice di merito e quindi la Cassazione ritengono fondamentale la verifica dei poteri attribuiti al presunto dirigente generale e verificatane l’insussistenza, ritengono non applicabile l’istituto dello Spoil System al dirigente in questione.

L’istituto dello Spoil System è stato oggetto di numerosi interventi da parte della Corte Costituzionale principalmente alla luce dell’articolo 97 della Costituzione.

Con la sentenza del 22 febbraio 2019 n.23, la Consulta ebbe a dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 99 commi 2 e 3 del DLGS n.267 del 18 agosto 2000 secondo il quale il segretario comunale resta in carica per un periodo corrispondente a quello del sindaco e cessa automaticamente dall’incarico al termine del mandato di quest’ultimo.

Riteneva la Consulta che il Segretario Comunale sebbene titolare di funzioni di controllo di legalità e di certificazione che potevano ritenersi neutrali rispetto all’azione politica, era investito anche di attribuzioni di carattere manageriale e di supporto propositivo all’azione degli organi comunali capaci di orientare le scelte dell’ente.

Fabio Petracci

Cooperative e Licenziamenti. Le novità della legge Cartabia.

Dal 1 marzo 2023, il Giudice del Lavoro è competente a giudicare il licenziamento del socio lavoratore di cooperativa ed è altresì competente a decidere le questioni relative al rapporto associativo.

E’ così stato introdotto l’articolo 441 ter CPC che ora così stabilisce:

Le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative sono assoggettate alle norme di cui agli articoli 409 e seguenti e, in tali casi, il giudice decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte. Il giudice del lavoro decide sul rapporto di lavoro e sul rapporto associativo, altresì, nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro deriva dalla cessazione del rapporto associativo.

Ciò significa che nel caso di licenziamento di socio lavoratore dipendente da cooperativa, unico giudice competente sarà il Tribunale del lavoro e ciò anche qualora oggetto del giudizio sul licenziamento, sia il rapporto associativo che prima era di esclusiva competenza del Giudice ordinario.

Prosegue così il processo di attrazione della normativa in tema di lavoro nelle cooperative a quella del lavoro subordinato nell’impresa che ha attraversato diversi momenti e fasi.

Inizialmente il rapporto di lavoro nell’ambito delle cooperative era considerato principalmente un semplice rapporto associativo cui comunque si applicavano taluni istituti del diritto del lavoro come il regime previdenziale previsto dal RD 1424/1924 e la disciplina in tema di orario di lavoro (RDL n.692/1923).

Fu solo con la sentenza n.10906 del 30.10.1998 che le Sezioni Unite della Corte di cassazione, ferma la natura associativa del rapporto cooperativo cui si applicavano le regole dello statuto e del contratto associativo, avevano stabilito la competenza del Giudice del Lavoro a giudicare di tale rapporto in quanto l’articolo 409 n.3 del codice di procedura civile aveva esteso la competenza del Giudice del lavoro anche a fattispecie diverse dal lavoro subordinato.

Più tardi, era promulgata la legge n.142 / 2001 che suddivideva i soci di cooperativa a seconda del contratto di lavoro che le cooperative erano tenute a stipulare a margine del contratto di adesione alla cooperativa, in soci lavoratori autonomi, lavoratori parasubordinati, lavoratori dipendenti.

Il successivo articolo 5 della medesima disposizione di legge stabiliva quindi che:

“Le controversie relative ai rapporti di lavoro in qualsiasi forma di cui al comma 3 dell’articolo 1 rientrano nella competenza funzionale del giudice del lavoro; per il procedimento, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile.”

La stessa norma poi però precisava che restavano di competenza del giudice civile ordinario le controversie tra soci e cooperative inerenti al rapporto associativo.

In sostanza, tutte le questioni inerenti il rapporto di lavoro instaurato erano di competenza del Giudice del Lavoro, tranne le questioni societarie che restavano di competenza del giudice ordinario.

Era inoltre previsto, in tema di licenziamento che l’applicazione dell’articolo 18 della legge 300/70 ( quindi reintegra o risarcimento ) non avveniva allorquando fosse cessato con il rapporto di lavoro anche il rapporto associativo.

In quest’ultimo caso, di fronte ad un licenziamento illegittimo, se la cooperativa anche superava il limite di dipendenti previso dall’articolo 18, in presenza della legittima cessazione del rapporto associativo, era applicata la sola tutela risarcitoria prevista per le aziende o cooperative inferiori ai 15 dipendenti.

Con la legge 30/2023 era invece affermata nuovamente la natura associativa del rapporto di lavoro in cooperativa e tornava quindi il dubbio che anche il rapporto di lavoro dei soci dovesse passare alla competenza dell’allora costituito tribunale delle imprese.

L’attuale e più recente innovazione è contenuta nella Legge Cartabia che introdotto nel codice civile l’articolo 441 ter che ha stabilito la competenza del Giudice del Lavoro per i licenziamenti nell’ambito delle cooperative anche quando sia in discussione la risoluzione del rapporto societario.

Ciò significa che nel caso di licenziamento del lavoratore di cooperativa e contestuale risoluzione del rapporto associativo, il Giudice del Lavoro potrà conoscere di entrambe le questioni.

Va tenuto presente che la risoluzione del rapporto associativo andrà impugnata nel termine di 60 giorni come pure l’avvenuto licenziamento.

Qualora la risoluzione del rapporto societario non sia più possibile, il Tribunale del Lavoro potrà conoscere esclusivamente del licenziamento ed in caso di illegittimità di quest’ultimo, il lavoratore non potrà in nessun caso chiedere la reintegra, ma esclusivamente un risarcimento nei limiti stabiliti per le aziende con meno di 15 dipendenti.

Le nuove progressioni verticali. A chi appartiene la giurisdizione?

Con il DL 80/2021 , sono state ampliate le modalità di ricorso alle progressioni verticali tra aree professionali nell’ambito del pubblico impiego.

E’ stata infatti attribuita amplia delega alla contrattazione collettiva per attuare progressioni verticali interne nell’ambito dell’inquadramento nella pubblica amministrazione, basate sulla valutazione di precisi criteri meritocratici indicati dalla legge – dl 80/2021- che è andata a modificare l’articolo 52 del DLGS 165/2001 stabilendo al comma 1 bis di quest’ultima disposizione di legge che “le progressioni all’interno della stessa area avvengono, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, in funzione delle capacità culturali e professionali e dell’esperienza maturata e secondo principi di selettività, in funzione della qualità dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono pertanto per il  tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti.”

Dunque le nuove progressioni verticali si realizzeranno attraverso procedure comparative che almeno in parte si discostano dalle procedure concorsuali.

Ciò, diversamente dai rigidi limiti imposti dal DLGS 150/2009 il quale consentiva le procedure di progressione verticale esclusivamente tramite l’espletamento di procedure concorsuali e con la riserva del 50% dei posti al personale interno.

Per quanto riguarda quest’ultimo limite, il TAR Sicilia con la sentenza 2406/2023 ha ritenuto che successivamente all’introduzione dell’articolo 52 bis del DLGS 165/2001 non sussiste obbligo alcuno di riserva in capo all’amministrazione nell’effettuare le progressioni verticali.

Quindi, se ne deduce che non si impone all’amministrazione di attuare una contestuale procedura concorsuale, ma di attuare nella misura del 50% altrettante procedure di assunzione per il personale esterno che può avvenire tramite concorso, ma anche mediante scorrimento delle graduatorie o mobilità volontaria nell’ambito della programmazione triennale delle assunzioni.

Diversi pareri dell’ARAN hanno ammesso la possibilità per gli enti, almeno nell’ambito della procedura transitoria sino al 31 dicembre 2025 , di prevedere l’espletamento di un colloquio finalizzato ad accertare le competenze professionali (parere protocollo n.5318/2023).

Resta quindi da verificare, meglio puntualizzando la differenza tra procedura comparativa e procedura concorsuale, la sussistenza, in caso di controversia, della giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo.

Di recente, i giudici amministrativi hanno ribadito che anche nel caso di procedure per la progressione verticale permane la giurisdizione del giudice amministrativo.

In proposito, il TAR Lazio Sezione Roma con la sentenza n.10265/2023 ha stabilito la propria giurisdizione sul presupposto per cui nelle progressioni verticali le selezioni riservate ai dipendenti interni si considerano come rivolte all’assunzione, in quanto il passaggio ad aree qualitativamente diverse comporterebbe una novazione del rapporto di lavoro equiparabile ad una assunzione con conseguente giurisdizione giudice amministrativo. Il TAR Lazio nel pronunciarsi in merito richiama la sentenza 8985/2018 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ebbero però a pronunciarsi prima dell’entrata in vigore del DL 80/2021.

Quest’ultima pronuncia delle Sezioni Unite in tema di giurisdizione aveva già affermato il concetto in base al quale per “procedure concorsuali di assunzione” – attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo, perché ascritte al diritto pubblico ed all’attività autoritativa dell’amministrazione – si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione ex novo dei rapporti di lavoro (come le procedure aperte a candidati esterni, ancorché vi partecipino soggetti già dipendenti pubblici), ma anche i procedimenti concorsuali interni, destinati a consentire l’inquadramento dei dipendenti in “aree” funzionali o categorie più elevate, con “novazione oggettiva” dei rapporti di lavoro (Cass., Sez. un., 26 marzo 2014, n. 7171; Cass., Sez. un., 20 dicembre 2016, n. 26270; Cass., Sez. un., 9 aprile 2010, n. 8424 e n. 8425);

In pratica di fonte al sicuro mutamento della procedura di accesso alla progressione verticale, non muta la giurisdizione in quanto quest’ultima non è tanto legata alla natura della procedura selettiva che può essere o meno concorsuale, ma all’esito della stessa finalizzato all’accesso in un nuovo contesto lavorativo equivalente ad una nuova assunzione.

Di conseguenza, qualora insorgano contenziosi in merito alle selezioni per le progressioni verticali, il giudice da adire, dovrebbe essere, salvo mutamenti degli orientamenti giurisprudenziali, il giudice amministrativo.

Fabio Petracci

Interpello Ministero del Lavoro n. 4/2024: ulteriori chiarimenti sulla figura del preposto

Con l’Interpello n. 4/2024 la Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro del Ministero del Lavoro fornisce ulteriori chiarimenti in merito alla figura del preposto.

Occorre premettere che l’art. 2 del d.lgs. n. 81/2008 definisce il “preposto” come: “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.

Quanto alla necessaria presenza del preposto con riferimento specifico alle attività in appalto, veniva nel dettaglio richiesto dalla Camera di Commercio di Modena:

  • se in un’attività in appalto sia obbligatorio che ci sia sempre un preposto;
  • se in un’attività in appalto, il preposto debba essere individuato tra i lavoratori fisicamente presenti presso il committente, o possa essere il responsabile della, che non si reca presso il cliente;
  • se in un’attività in appalto svolta da un unico lavoratore, debba essere individuato un preposto.

Il Ministero del Lavoro ribadisce quanto già rappresentato con l’interpello n. 5 del 1° dicembre 2023 cioè che: “dal combinato disposto della citata normativa, sembrerebbe emergere la volontà del legislatore di rafforzare il ruolo del preposto, quale figura di garanzia e che sussista sempre l’obbligo di una sua individuazione. Dovrebbe ritenersi, pertanto, che la coincidenza della figura del preposto con quella del datore di lavoro vada considerata solo come extrema ratio – laddove il datore di lavoro sovraintenda direttamente a detta attività, esercitando i relativi poteri gerarchico – funzionali. Inoltre, non potendo un lavoratore essere il preposto di sé stesso, nel caso di un’impresa con un solo lavoratore le funzioni di preposto saranno svolte necessariamente dal datore di lavoro.

Pertanto, in considerazione della peculiarità e dell’importanza del ruolo del preposto attribuita dalla normativa vigente, è da considerarsi sempre obbligatorio che i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori indichino al datore di lavoro committente il personale che svolge detta funzione e l’individuazione del preposto dev’essere effettuata tenendo in considerazione che tale ruolo debba essere rivestito solo dal personale che possa effettivamente adempiere alle funzioni e agli obblighi ad esso attribuiti, condizione che non sembra potersi rinvenire se il responsabile della commessa (ad es. il project manager), non si reca presso il luogo delle attività.

In effetti, proprio in considerazione del ruolo, il legislatore, in alcuni casi, ha previsto che talune attività vengano eseguite solo sotto la diretta sorveglianza del preposto come, ad esempio, in materia di ponteggi.

Alberto Tarlao

Patente a punti nei cantieri edili in vigore dal primo ottobre, ecco il decreto attuativo

Il Decreto Legge n.19 del 2 marzo 2024, noto come “Decreto PNRR 4”  e convertito con modifiche nella Legge n° 56 del 29 Aprile 2024 che prevede tra l’altro,  che dal giorno 1 Ottobre 2024 a chiunque operi nei cantieri temporanei e mobili sarà richiesto di essere in possesso della “patente a punti” o “patente a crediti per la sicurezza nei cantieri“.

Di seguito, il Ministero del Lavoro ha emanato il decreto ministeriale 18 settembre 2024 n.132 titolato “Regolamento relativo all’individuazione delle modalità di presentazione della domanda per il conseguimento della patente per le imprese e i lavoratori autonomi operanti nei cantieri temporanei o mobili.” Si tratta in sostanza delle norme applicative che permettono di conoscere le modalità pratiche per attuare nell’ambito degli appalti la patente a punti.

Procederemo ad un sommario ed essenziale esame del provvedimento.

La domanda

Notiamo in primo luogo come la domanda per il rilascio della patente in formato digitale deve essere inoltrata all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, allegano la seguente documentazione:

  1. iscrizione alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura; (autocertificazione)
  2. adempimento, da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei preposti, dei lavoratori autonomi e dei prestatori di lavoro, degli obblighi formativi previsti dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81; (dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà)
  3. possesso del documento unico di regolarità contributiva in corso di validità; (autocertificazione)
  4. possesso del documento di valutazione dei rischi, nei casi previsti dalla normativa vigente; (dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà)
  5. possesso della certificazione di regolarità fiscale, di cui all’articolo 17-bis, commi 5 e 6, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nei casi previsti dalla normativa vigente; (autocerificazione)
  6. avvenuta designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, nei casi previsti dalla normativa vigente. (dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà).

Nelle more della concessione della patente è consentito l’esercizio dell’attività, salvo diversa comunicazione dell’Ispettorato del Lavoro.

Nuova domanda a seguito di revoca

Qualora la patente sia stata revocata, trascorsi dodici mesi dalla revoca, può essere inoltrata una nuova domanda.

Contenuto e accesso

La patente contiene il punteggio rilasciato al momento del rilascio ed i relativi aggiornamenti consultabili anche tramite apposito portale, eventuali provvedimenti di sospensione, eventuali altri provvedimenti.

L’Ispettorato del Lavoro, previo parere del Garante per la Protezione dei Dati, individuerà le modalità per l’accesso alle informazioni alle pubbliche amministrazioni, alle RSU – RSA ai rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, agli organismi paritetici, ed ai soggetti che intendono affidare i lavori in appalto.

Il provvedimento di sospensione. Quando è emesso

Esauriti i crediti, è emanato il provvedimento di sospensione.

La sospensione è emessa anche qualora nel cantiere sia avvenuto infortunio mortale imputabile al datore di lavoro o suo delegato.

Essa può essere irrogata anche nel caso del verificarsi di infortunio con inabilità permanente imputabile ad uno dei predetti soggetti.

La durata della sospensione mai superiore ai 12 mesi è graduata a seconda della gravità delle violazioni compiute in tema di sicurezza.

Attribuzione e quantificazione dei crediti

Per quanto riguarda l’attribuzione dei crediti, è stabilito che:

al momento del rilascio vengono erogati n.30 crediti, incrementabili fino al massimo di 100 crediti .

I crediti possono essere incrementati in ragione del comportamento virtuoso dell’azienda e dello svolgimento di utili attività formative.

In caso di mancanza di provvedimenti di decurtazione, per ogni biennio può essere attribuito un massimo di 20 crediti.

Il recupero dei crediti

E’ possibile anche un’attività di recupero dei crediti persi per un numero massimo sino a 15 crediti subordinato ad una valutazione di una commissione territoriale composta da rappresentanti dell’Ispettorato del lavoro e dell’INAIL anche sulla base di attività formative.

Vicende societarie e punteggio

Nel caso di trasferimento, fusione di azienda, il nuovo soggetto porta con sé la situazione dei crediti del soggetto trasferito o estinto.

Fabio Petracci
Avvocato giuslavorista

 

Il WHISTLEBLOWER arriva anche in azienda. Chi è e come funziona?

Chi è il Wistleblower?

Si tratta di una figura normalmente di lavoratore dipendente, consulente, ma anche professionista o fornitore che, in rapporto di lavoro con l’azienda nota e segnala condotte illecite.

Il termine anglosassone “whistleblowing” è l’equivalente italiano di denuncia.

Sino a poco tempo fa, questa figura era presente esclusivamente nell’ambito delle amministrazioni pubbliche dove l’articolo 54 del DLGS 165/2001 vietava le azioni ritorsive contro il denunciante.

IL DLGS 24/2023 supera questo ambito di applicazione e si estende anche alle imprese in termini nuovi e più ampi.

La piena estensione riguarda così ogni impresa, con la precisazione che nelle aziende sino a 50 dipendenti sono oggetto di tutela esclusivamente le segnalazioni che riguardano la violazione di normative comunitarie.

Sino ad oggi invece, per il settore privato, operava la legge 179/2017 che imponeva alle società dotate di modelli organizzativi ex lege 231/2001 di dotarsi obbligatoriamente di canali di segnalazione di condotte illecite ritenute rilevanti ai sensi della normativa.

Ora, il DLGS 24/2023 ha abrogato tali disposizioni riconoscendo un ruolo ed una protezione maggiore alle segnalazioni. Avviene così un’armonizzazione tra la normativa nazionale e quella comunitaria.

Rispetto alle norme preesistenti, che contemplavano il solo uso di canali di segnalazione interni, il decreto introduce ulteriori modalità attraverso cui il whistleblower può comunicare gli illeciti di cui sia venuto a conoscenza. Il documento amplia infatti i canali a disposizione, prevedendone uno interno ed uno di segnalazione esterna, predisposto e gestito dall’ANAC.

Come è strutturata la procedura per le segnalazioni interne?

Per quanto riguarda i canali di segnalazione interna gli le aziende ed i destinatari tutti della segnalazione, dovranno garantire la massima riservatezza. La gestione della segnalazione dovrà essere affidata a una persona o a un ufficio aziendale interno, autonomo e costituito da personale specificatamente formato o, in alternativa, ad un soggetto esterno equivalentemente qualificato. Nel caso di ente dotato del modello organizzativo previsto dal D. LGS. 231/2001, si richiede che il M.O.G. si occupi del canale di segnalazione.

Rimangono sempre escluse le segnalazioni concernenti i rapporti individuali di lavoro e quelle in materia di difesa e sicurezza nazionale.

Quindi il datore di lavoro è tenuto a rilasciare al whistleblower un avviso di ricevimento della sua segnalazione dopo l’inoltro di quest’ultima ed entro sette giorni dalla ricezione.

E’previsto inoltre per le imprese,  un obbligo di adeguata pubblicità di un’informativa chiara ed esplicativa circa le procedure di segnalazione ed i presupposti per l’inoltro delle stesse.

La pubblicità potrà avvenire in ambito aziendale o sul sito Internet.

Per quanto invece riguarda le segnalazioni esterne attraverso il canale ANAC.

Esso è limitato e consentito nei seguenti casi:

  1. Il soggetto segnalante opera in un contesto lavorativo nel quale non è prevista l’attivazione obbligatoria del canale o la sua predisposizione non è conforme ai requisiti normativi;
  2. Il soggetto segnalante ha già effettuato una segnalazione a cui non è stato dato seguito;
  3. Il soggetto segnalante ha fondato motivo di ritenere che una segnalazione interna possa determinare il rischio di ritorsione;
  4. Il soggetto segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse

Identità del segnalante

E’ tutelata con l’obbligo di segretezza, salvo diversa volontà del segnalante.

L’obbligo di segretezza viene meno nei confronti degli organi addetti a ricevere ed esaminare la segnalazione.

Nel caso in cui la segnalazione comporti l’avvio di un procedimento penale, la riservatezza sarà tutelata nei limiti della normativa penale.

Nel caso di avvio di procedimento disciplinare, la segretezza dovrà cedere di fronte alle esigenze di tutela dell’incolpato.

Tutela per il segnalante dalle ritorsioni

Sempre in tema, il D. LGS. 24/2023, conferma le garanzie contro ritorsioni e discriminazioni nei confronti del segnalante (dipendente pubblico o lavoratore privato che sia) e introduce un’ulteriore forma di tutela per il whistleblower, questa volta in sede processuale.

Il documento dispone infatti in capo al soggetto che abbia posto in essere tali condotte, un’inversione dell’onere probatorio, imponendogli di dimostrare che siano state attuate per ragioni estranee alla segnalazione, alla divulgazione o alla denuncia.

Fabio Petracci
Avvocato Giuslavorista