CASSAZIONE: Lecita l’installazione di telecamere nascoste per verificare il fondato sospetto di furti da parte del lavoratore

La Suprema Corte, sezione V penale, con la pronuncia n. 28613/2025 del 5 agosto 2025 si è espressa sul caso di una dipendente a cui era contestato di aver reiteratamente sottratto banconote dal registratore di cassa e prodotti della farmacia presso cui lavorava.

Le condotte erano accertate mediante l’impianto di videosorveglianza situato all’interno della farmacia; le telecamere erano state installate senza avvertire i dipendenti.

La giurisprudenza di legittimità ritiene lecito l’impiego delle telecamere nascoste, non segnalata da cartelli e installata senza accordo coi sindacati o autorizzazione dell’Ispettorato, se rivolte a controllare uno specifico dipendente nei confronti del quale ci siano già dei validi sospetti di commissione di comportamenti illeciti.

Sono dunque utilizzabili, sia nel processo civile sia in quello penale, le registrazioni video realizzate ad insaputa del dipendente sul luogo di lavoro per proteggere il patrimonio aziendale, messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori.

L’impiego delle telecamere nascoste non può essere operato, quindi, né con scopo preventivo né verso soggetti nei confronti dei quali non sussistono sospetti di colpevolezza, e neppure sarebbe possibile fare verifiche a campione.

L’installazione delle telecamere non può dunque servire quale strumento volto al controllo a distanza dei dipendenti, tale da ledere il loro diritto alla riservatezza, bensì deve essere finalizzato a ottenere la conferma dell’attività illecita che il datore di lavoro aveva il sospetto che si compisse all’interno dei locali aziendali e, quindi, per difendere il patrimonio della sua azienda.

Il datore di lavoro, quindi, può ben installare nei locali della propria azienda telecamere per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale, messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, e questo perché le norme dello Statuto dei Lavoratori tutelano sì la riservatezza del dipendente, ma non fanno divieto al tempo stesso di effettuare i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale, e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio.

avv. Alberto Tarlao

Illegittima la prassi di sottoporre ad un colloquio con compilazione di apposito modulo il dipendente rientrante dalla malattia

Con il provvedimento n. 390/2025 del 10 luglio 2025 l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato una società che sottoponeva i propri lavoratori, in seguito ad assenze dovute a malattia e ricoveri, ad un colloquio di rientro dal lavoro con il proprio responsabile.

Nel corso del colloquio, il responsabile compilava, con le informazioni fornite dal lavoratore, un apposito modulo predisposto dall’azienda.

Detto modulo veniva poi consegnato all’ufficio risorse umane che valutava, insieme al responsabile e/o al medico competente, eventuali iniziative a tutela della salute del dipendente. Ad avviso dell’azienda, la prassi era volta a garantire l’adempimento dei propri doveri di tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori ai sensi dell’art. 2087 c.c.

Il Garante, all’esito dell’istruttoria, ha tuttavia riscontrato numerose violazioni della normativa in materia di protezione dei dati personali.

In primo luogo, risultava assente un’informativa chiara e trasparente ai dipendenti in merito allo specifico trattamento dei propri dati personali.

Ancora, era accertata altresì l’assenza di un’idonea condizione di liceità, in quanto il trattamento posto in essere è risultato privo di base giuridica in quanto non rientrante nell’attività di sorveglianza sanitaria, attività peraltro di competenza esclusiva del medico competente e non del datore di lavoro.

La società ha inoltre violato anche il principio di minimizzazione dei dati, in quanto alcune delle informazioni previste nel questionario avrebbero già dovuto essere di conoscenza dell’ufficio del personale, con conseguente inutile duplicazione dell’acquisizione di dati.

La datrice di lavoro ha trattato anche dati dei lavoratori non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale e comunque per un periodo di tempo, massimo di 10 anni, evidentemente sproporzionato.

Ne consegue che sottoporre i lavoratori, al rientro da periodi di assenza per malattia, infortunio, ricovero, a un colloquio con il proprio responsabile che redige un modulo specifico contenente anche dati relativi alla salute risulta non conforme alla disciplina di protezione dei dati personali e in particolare in violazione degli artt. 5, par. 1, lett. a), c), e), 6, 9, 13, 88 del GDPR (Reg. UE n.2016/679) e 113 del Codice italiano in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. n.196/2003).

Pertanto, alla società, oltre al divieto dell’ulteriore trattamento dei dati raccolti e conservati attraverso i moduli, è stata comminata la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 50.000,00.

avv. Alberto Tarlao

Licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese: incostituzionale il limite di sei mensilità

Con la sentenza n. 118 del 21 luglio 2025, la Corte Costituzionale si è espressa in merito all’indennità prevista dall’articolo 9, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015 (Jobs Act), là dove stabilisce che, nel caso di licenziamenti illegittimi intimati da un datore di lavoro che non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (più di quindici lavoratori presso un’unità produttiva o nell’ambito di un Comune e comunque non occupi più di sessanta dipendenti), non potesse essere superato il limite delle sei mensilità di indennità.

Nel dettaglio, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015, limitatamente alle parole “e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”.

In effetti, la previsione di una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, ad avviso della Corte Costituzionale si traduce in un’indebita omologazione di situazioni che possono essere diverse, ponendosi dunque in violazione del principio di eguaglianza.

La predeterminazione dell’indennità risarcitoria deve sempre tendere a rispecchiare la specificità del caso concreto e quindi la vasta gamma di variabili che vedono direttamente implicata la persona del lavoratore. Non può, pertanto, discostarsene in misura apprezzabile, come può avvenire quando viene adottato un meccanismo rigido e uniforme quale quello dell’art. 9 comma 1 d.lgs. n. 23/2015.

Ancora, è stato ritenuto che ciò che confligge espressamente con i principi costituzionali, dando luogo a una tutela monetaria incompatibile con la necessaria “personalizzazione del danno subito dal lavoratore” sia l’imposizione di un tetto, predeterminato e insuperabile anche in presenza di licenziamenti viziati dalle più gravi forme di illegittimità, che dunque comprime eccessivamente l’ammontare dell’indennità.

In ogni caso, è opportuno segnalare che la Corte Costituzionale ha nuovamente rinnovato il proprio auspicio relativamente all’intervento da parte del legislatore sul tema, ribadendo come il criterio del numero dei dipendenti non possa costituire l’esclusivo indice della sostenibilità dei costi connessi ai licenziamenti illegittimi, dovendosi considerare anche altri fattori altrettanto significativi, quali possono essere il fatturato o il totale di bilancio, da tempo indicati come necessari elementi integrativi dalla legislazione europea e anche nazionale.

avv. Alberto Tarlao

Malati oncologici e tutela del posto di lavoro

E’ entrata in vigore la legge 18 luglio 2025 n.106 contenente disposizioni concernenti la conservazione del posto di lavoro e i permessi retribuiti per esami e cure mediche in favore dei lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche.

Essa si applica ai lavoratori dipendenti pubblici e privati, affetti da malattia oncologiche ed anche da patologie invalidanti o croniche anche rare che comportino in questo caso un grado di invalidità superiore al 74 per cento.

In questi casi, i soggetti affetti dalle patologie indicate possono, in aggiunta al periodo contrattuale di conservazione del posto, fruire di un periodo di congedo continuativo o frazionato non superiore a 24 mesi.

Durante questo periodo, il soggetto malato, conserva il posto di lavoro pur senza diritto alla retribuzione, oltre, come già detto, ai normali periodi di conservazione del posto dovuti in base al contratto.

Lo stato di malattia deve essere certificato dal medico di medicina generale o dal medico specialista di struttura pubblica o accreditata.

La misura si applica anche ai lavoratori autonomi con prestazione in via continuativa per un committente.

Superato il periodo di congedo previsto, il lavoratore ha diritto ad accedere in via prioritaria alla modalità di lavoro agile.

La legge prevede inoltre per i lavoratori sopra indicati la facoltà di fruire previa prescrizione medica di ulteriori dieci ore di permesso annuo, in aggiunta a quanto previsto dal contratto collettivo per visite ed esami, percependo altresì l’indennità di malattia.

Questo diritto è riconosciuto anche ai genitori di figlio minorenne affetto dalle patologie indicate.

di Petracci Fabio, avvocato giuslavorista