Nullità del patto di non concorrenza – nullità per ragioni comuni e specifiche alla norma

Cassazione Civile Sezione Lavoro ordinanza 1.3.2021 n.5540.

Il patto di non concorrenza è disciplinato dall’articolo 2125 del codice civile.

Esso al pari di altre clausole destinate a stabilizzare il rapporto o comunque a rafforzarne i vincoli, come ad esempio, la clausola di durata minima del rapporto, costituisce una delle forme di fidelizzazione del lavoratore.

Un importante peculiarità della clausola è data dal fatto che essa è destinata ad operare soltanto alla cessazione del rapporto di lavoro.

Quindi il patto lungi dall’operare nell’ambito del reciproco vincolo che involge il rapporto di lavoro, viene ad operare allorquando questo è cessato ed opera la regola generale della reciproca libertà di iniziativa delle parti.

Quindi la stipula avviene nel corso del rapporto di lavoro e gli effetti sono differiti alla cessazione.

Esso quindi costituisce una eccezione al normale ed ordinario venir meno delle reciproche obbligazioni una volta cessato il rapporto.

La serietà di tale eccezione impone dei precisi requisiti che il patto deve possedere a pena di nullità.

Esso deve quindi risultare da atto scritto, prevedere l’erogazione di un corrispettivo a favore del lavoratore, contenere il vincolo entro determinati limiti di oggetto, di tempo di luogo.

L’ordinario limite temporale è di tre anni e cinque per i dirigenti.

L’eventuale pattuizione di una durata maggiore è ridotta per legge ai limiti legali.

L’articolo 2125 prevede, a pena di nullità del patto, i seguenti elementi costitutivi:

  • Forma scritta;
  • Definizione dell’oggetto;
  • Durata predefinita;
  • Indicazione dell’ambito territoriale di operatività;
  • Determinazione di un corrispettivo.

 

 

La mancanza di questi elementi determina la nullità del patto.

Vi sono però dei casi più frequenti, laddove gli elementi sopraindicati sussistono formalmente, ma per tutta una serie di carenze di contenuto, la giurisprudenza ne sancisce ricorrentemente la nullità.

Ciò accade, laddove il compenso sia simbolico o comunque inadeguato rispetto al sacrificio richiesto, oppure il contenuto del patto sia talmente esteso da non permettere al lavoratore lo svolgimento di alcuna utile attività remunerativa.

Sul punto è intervenuta la Suprema Corte con la sentenza in esame n.5540 dell’1.3.2021  la quale confermando la nullità per entrambe le ipotesi possibili riferite in primo luogo alla mancanza di taluno degli elementi di cui all’articolo 2125 del codice civile ed in secondo luogo all’insufficienza di tali elementi nel determinare un giusto equilibrio delle prestazioni, afferma come in questo secondo caso di squilibrio economico delle prestazioni le disposizioni di cui agli articoli 1418 e 1467 del codice civile (rescissione per lesione ed eccessiva onerosità sopravvenuta, avrebbero accordato al lavoratore subordinato una tutela in larga misura soltanto apparente confinando nella irrilevanza un’ ampia gamma di ipotesi di squilibrio delle prestazioni, ha ritenuto come un requisito di adeguatezza del compenso sia implicito nella formulazione di cui all’articolo 2125 del codice civile come pure gli imposti limiti di tempo e di luogo per il contenimento del patto.

In tal senso, la Cassazione opera un importante riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite n.9140 del 2016 che, a determinate condizioni, ammettevano la nullità per difetto di meritevolezza anche clausole non aventi natura vessatoria come in determinati casi, nel contratto di assicurazione sulla responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria avvengano in un determinato lasso di tempo, richiamando così il principio di solidarietà sociale di fronte a significativi squilibri dei diritti e degli obblighi contrattuali.

Resta ferma, naturalmente, secondo la Suprema Corte, la necessità di una rigorosa valutazione in ordine alla sussistenza di un corrispettivo manifestamente iniquo e sproporzionato nel caso dell’articolo 2125 del codice civile.

Da quanto sopra espone la Corte di Cassazione come operino due piani di nullità del patto di non concorrenza.

Il primo, come per ogni contratto, per indeterminatezza degli elementi ex articolo 1346 del codice civile.

Il secondo per violazione dell’articolo 2125 del codice civile, laddove il corrispettivo sia simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato.

 

Fabio Petracci