Avv. Petracci - Licenziamenti e disciplinare

Pubblico Impiego – azione disciplinare – Sospensione Cautelare – assenza di provvedimento disciplinare – restitutio in integrum – spetta.

Corte di Cassazione Sezione Lavoro n.4411 del 18.2.2021.

Un dipendente pubblico è imputato di peculato. Viene sospeso in base all’articolo 4 della legge n.97/2001 che impone in tali fattispecie di reati e di condanna anche non definitiva per taluni reati contro la Pubblica Amministrazione la sospensione cautelare del dipendente, con la precisazione che il provvedimento perde efficacia in caso di successivo proscioglimento o assoluzione o dopo il decorso di un termine pari al periodo di prescrizione del reato. L’accusa alla fine cade per intervenuta prescrizione. Il dipendente si dimette e non viene perseguito disciplinarmente.

Egli pertanto nei diversi gradi di giudizio, richiede il pagamento delle somme non percepite in quanto oggetto di sospensione cautelare.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza in esame precisa come la sospensione cautelare nel pubblico impiego tanto quella obbligatoria come nel caso di specie, tanto quella facoltativa prevista anche dalla contrattazione collettiva sono provvedimenti interinali funzionali alla successiva sanzione e, pertanto il venir meno di quest’ultima produce il venir meno degli effetti della sospensione anche sotto l’aspetto economico.

L’istituto della sospensione cautelare nel pubblico impiego ha trovato una prima disciplina nel D.P.R. n. 3 del 1957, per gli impiegati civili dello Stato, articoli da 91 a 99. Tali norme sono state richiamate per il personale delle Unità Sanitarie Locali dal D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 51, comma 1. Dopo la privatizzazione, con la stipula dei contratti collettivi, la regolamentazione è stata fissata dalla contrattazione collettiva, secondo quanto disposto dall’attuale DLGS 165/2001 artt. 69 e 71.

Alle ipotesi di sospensione cautelare previste da tali fonti si è aggiunta una sospensione di carattere speciale e di natura obbligatoria legata alla condanna per specifici reati. La relativa disciplina è stata fissata dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, art. 4,

Nella fattispecie in esame la sospensione è stata disposta ai sensi dell’art. 4 della suddetta L. n. 97 del 2001; la norma sancisce la sospensione obbligatoria del dipendente di amministrazioni o enti pubblici (nonchè degli enti a prevalente partecipazione pubblica) in caso di condanna, anche non definitiva, per alcuno dei più gravi delitti contro la pubblica amministrazione. Tra essi figura il delitto di peculato, per il quale il dipendente in questione veniva condannato dal Tribunale penale, procedimento che poi nelle successive fasi processuali diveniva oggetto di prescrizione.

L’art. 4 cui si è fatto cenno stabilisce la inefficacia della sospensione a seguito sia alla sentenza di assoluzione che a quella di proscioglimento. Tale ultima espressione individua le sentenze di non doversi procedere per ragioni processuali, tra le quali è compresa la sentenza di estinzione del reato per prescrizione. Il legislatore del 2001 nell’introdurre la normativa attuale mediante la legge 97/2001, ha recepito sul punto i principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza 3 giugno 1999 n. 206, nell’offrire l’interpretazione conforme a Costituzione della disciplina allora contenuta nella L. n. 55 del 1990, art. 15, comma 4 septies.

La sentenza di cui in epigrafe è stata chiamata a definire, cessati gli effetti della sospensione obbligatoria, la sorte della obbligazione retributiva che fa carico al datore di lavoro pubblico.

In riferimento alla sospensione facoltativa disposta a seguito di procedimento penale – a norma del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 91 o secondo la regolamentazione della contrattazione collettiva, la Suprema Corte con orientamento consolidato (fra le altre, Cass. nn. 5147/2013, 15941/2013, 26287/2013, 13160/2015, 9304/2017, 10137/2018, 20708/2018, 7657/2019, 9095/2020) ed in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa (C.d.S., Ad plen. 28.2.2002 n. 2) e costituzionale (Corte Cost. 6 febbraio 1973 n. 168), ha chiarito che la sospensione cautelare, in quanto misura interinale, ha il carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella sospensione disciplinare, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti. In particolare, ogni qualvolta la sanzione disciplinare non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura ed entità tali da non giustificare la sospensione sofferta sorge il diritto alla restitutio in integrum, che ha natura retributiva e non risarcitoria, e ciò a prescindere dalla espressa previsione della legge o della contrattazione collettiva.

Si è ritenuto, dunque, che in caso di omissione del procedimento disciplinare anche l’eventuale condanna penale intervenuta nei confronti del dipendente non sia suscettibile di tenere ferma la sospensione cautelare dal servizio disposta in corso del procedimento penale e stabilita dalla amministrazione in via discrezionale, non potendosi ammettere una conversione della misura in una sanzione di identico contenuto.

Per quanto attiene invece la cessazione dal servizio intervenuta nel corso del procedimento disciplinare, la legge DLGS 165/2001 all’articolo 55 bis , comma 9, prevede che la cessazione del rapporto con la pubblica amministrazione (non il trasferimento ad un’altra amministrazione) provoca la cessazione del procedimento disciplinare, salvo il caso di licenziamento disciplinare ed il caso in cui sia in corso la sospensione cautelare e la decisione in sede disciplinare porti alla irrogazione del provvedimento disciplinare cui la stessa è finalizzata.

Dunque, nel caso di specie, l’Amministrazione avrebbe potuto portare a termine il procedimento disciplinare anche di fronte al trasferimento del dipendente al fine di mantenere l’efficacia della sospensione cautelare, cosa che non ha fatto e quindi, secondo la Cassazione citata il provvedimento ha perso ogni effetto.

Fabio Petracci